Questo non è un Paese per bambini. Scuola, scendiletto dei politici a carico delle famiglie

21 Aprile 2020
Lettura 3 min

di Giuseppe Olivieri – Nel disinteresse totale, a causa dell’epidemia da Covid-19 la scuola è stata la prima a chiudere e rischia di essere fra gli ultimi a riaprire.

Il dpcm del 22 febbraio ne ha imposto la chiusura in Lombardia e in Veneto e nei giorni immediatamente successivi nessun parlamentare di qualsivoglia colore politico ha sollevato il problema delle difficoltà immani che le famiglie ivi residenti dovevano affrontare nella gestione dei minori. Nessuno in quei giorni si è preoccupato dell’organizzazione delle strutture scolastiche ed educative. Nessuno ha posto al centro del proprio interesse la condizione delle tante imprese indotte a concedere congedi parentali ai propri dipendenti.

Solo quando la chiusura è stata estesa a tutto il territorio statale con il dpcm del 4 marzo, qualche esponente politico, illuminato da un improbabile interesse nazionale, ha accennato, ma solo a parole, all’importante ruolo che la scuola e le famiglie svolgono.

Per il resto, i bambini e i loro diritti sono stati ignorati dalle istituzioni durante tutta la fase emergenziale.

Se gli adulti, anche se con difficoltà, possono essere messi in stand by, i bambini, al contrario, hanno dei processi di crescita e di apprendimento che non possono essere congelati.

Nei primi anni, in particolare, quando tutto il vissuto concorre a formare la futura personalità, sottrarli al loro mondo, ai loro bisogni, ai loro spazi, sostituendoli magari con una permanenza prolungata dinnanzi ad un monitor, può comportare danni che meritano una particolare e adeguata attenzione.

A maggior ragione, ci sono anche bambini che hanno bisogni speciali: quelli che trovano all’esterno della propria abitazione ciò che manca o che non è sufficiente al suo interno. Il mondo all’aperto è quello a cui si devono aggrappare per riuscire a vivere.

I genitori sono lasciati ancora una volta soli a gestire i disagi dei loro figli: atteggiamenti regressivi, disturbi del sonno, ricerca di eccessive attenzioni, sono tutti elementi di cui la politica dovrebbe accorgersi e a cui riuscire a dare risposte chiare e tempestive.

Ed ora, mentre si profila una ripresa graduale delle attività lavorative, mancano da parte delle istituzioni indicazioni relative alle condizioni e alle modalità di riapertura delle scuole. C’è chi ne prospetta la loro riapertura a settembre, senza calcolare minimamente le enormi conseguenze che questo avrà sui minori e sull’organizzazione familiare.

In questo periodo, fatta eccezione per alcune eccellenze, la chiusura delle scuole ha messo in luce
l’impreparazione di molti docenti ed alunni nell’utilizzare i sistemi digitali, la mancanza di connessioni pubbliche adeguate e una disomogenea distribuzione tra la popolazione dei dispositivi necessari, rischiando di inficiare l’applicazione del diritto fondamentale allo studio.

Altro elemento che è emerso è la scarsa considerazione in cui sono stati tenuti gli asili nido e le scuole dell’infanzia, le quali, nonostante svolgano un servizio essenziale, difficilmente riescono ad adempiere alla funzione di didattica a distanza: nel momento in cui i genitori dovranno riprendere le proprie attività professionali, pochi potranno permettersi una babysitter e fare affidamento sui nonni sarebbe una scelta irragionevole. Infatti, il passaggio dei minori dalla convivenza durante la sera con genitori reinseriti nel modo lavorativo, a quella ipotetica con i nonni durante il giorno, rischia di esporre questi ultimi, più vulnerabili, ad un alto rischio di contagio infettivo.

Questo disinteresse appare molto grave, soprattutto se, osservando gli altri stati con numeri simili ai nostri in termini di contagi e decessi, si scopre che per loro la scuola rappresenta una priorità e che coloro che hanno optato per un confinamento domiciliare stretto, come Italia e Spagna, sono proprio quelli che presentano un più alto indice di letalità.

A ciò si aggiunga il fatto per cui ad oggi la maggior parte dei bambini non sembra essere coinvolta da questa infezione virale con una sintomatologia eclatante.

Alla luce di tutto questo, pare non vi sia una ragione seria alla base dell’ipotetica scelta di impedire alle scuole di riaprire.

Ovviamente, contestualmente dovrebbero essere stabiliti tempestivamente alcuni presidi per garantire un certo grado di sicurezza, come i test sierologici per gli insegnanti e gli educatori, la sanificazione degli ambienti, turni ridotti e differiti e il mantenimento di misure prossemiche che impediscano l’assembramento degli accompagnatori all’entrata e all’uscita dalle strutture.

Le istituzioni centrali devono dare in fretta delle risposte. Ripartire senza considerare le esigenze dei più piccoli e delle loro famiglie rappresenterebbe l’emblema di una società incapace di osservare il presente e programmare il futuro. E di tutto questo rischieremmo di pagare un conto salato.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
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