di Sergio Bianchini – Due pagine intere del Giorno del 20 gennaio esprimono perfettamente lo stato di paralisi del pensiero organizzativo dello stato italiano e degli intellettuali che lo rappresentano.
In una pagina la vicenda assolutamente unica e irripetibile della bidella che fa 1600 chilometri al giorno da Napoli per lavorare a Milano. Trattata in modo commovente e difesa (ma chi la minaccia?) da studenti e docenti della (sua?) scuola.
Nella pagina accanto l’analisi del segretario Cisl scuola di Milano che snocciola numeri sulla scuola milanese che parlano da soli. A Milano i precari della scuola sono circa 8.000 pari al 35% del totale.
Ebbene, pensate che al segretario Cisl vengano in mente i poveri studenti che sopportano questa cronica situazione di precarietà delle scuole milanesi? O il suo problema è garantire il permanente diritto del personale meridionale di occupare i posti del nord mantenendo la sua mobilità verso il sud? E quindi propone un aumento generalizzato degli stipendi della scuola con alloggi a costi bassi nel nord dedicati ai precari o supplenti. Non è la soluzione.
A nessuno, proprio nessuno, viene in mente l’idea di concorsi per le assunzioni del personale organizzati su basi territoriali o provinciali o comunali per i grandi centri? Come avviene per i dipendenti comunali che vincono un concorso locale e permangono nel comune fino a quando non partecipano ad un altro concorso se vogliono cambiare collocazione?
Sarebbe una soluzione semplice, perfino ovvia che immediatamente darebbe stabilità al personale docente ed anche a quello direttivo, garantirebbe concorsi rapidi e quindi anche una piena copertura dei posti ad inizio anno. Obiettivo “sognato” da 40 anni invano.
Ma no, ci vuole il concorso nazionale e il “diritto” al trasferimento nazionale. Così si perpetua la quasi totale occupazione transitoria dei posti da personale con mente e cuore al sud e per gli alunni una incredibile precarietà e discontinuità didattica che assieme agli orari mostruosi delle lezioni è la principale fonte del disastro scolastico.
La cosa che stupisce è che il “nordismo” non si sogna nemmeno di trattare questi temi che nemmeno un ministro leghista o provveditore agli studi di Milano e sempre leghista si è sognato di nominare.
La non risolta questione del federalismo e della Costituzione attuale che lo definisce con larghi poteri alle regioni impedisce al” nordico” di progettare soluzioni. Nel suo cuore è ancora secessionista ma disperato.
E allora diventa nazionalista ma senza un nazionalismo moderno che veda le tre Italie, Nord Centro e Sud. Il nordico disperato sposa il nazionalismo antico dominante che vede il Sud come centro di gravità permanente. Il suo nordismo giace sepolto nel profondo e non trova sbocchi ignorando perfino la Costituzione ed i grandi poteri che essa attribuisce alle regioni.
Perfino il discorso del referendum sull’autonomia parla dell’art 116 della Costituzione che riguarda le regioni a statuto speciale chiedendo di diventare un poco come loro e ignora l’art 117 che definisce i poteri grandissimi di tutte le regioni come quello organizzativo sulla scuola.
Davanti a tutti sta la crisi del meridionalismo che annaspa e produce solo mostruosità nel silenzio per ora totale degli intellettuali del Nord che sembrano inesistenti o scomparsi. Il Centro Sud occupa costantemente tutta l’arena politica e culturale mentre i soldi li produce un Nord muto o farfugliante senza idee applicabili davvero nella ricostruzione del paese e dello stato.