di Stefania Piazzo – Un po’ di leggerezza salva la vita. Era l’autunno del 1978 e nelle sale dei cinema in Italia usciva Grease. Erano gli anni in cui noi, oggi over 50 abbondanti, analogici dalla punta dei piedi alla testa, uscivamo dal bozzolo della prima adolescenza. Ancora non in età da motorino, armati di bicicletta o autobus, sognavamo di diventare grandi in fretta. Si raccoglievano le mancette per comperare l’LP, il 33 giri doppio con tutti i brani di Grease che, dopo essere stato visto e raccontato agli amici, si riascoltava come una novena. Era un LP che si apriva a libro. Non tutti erano così belli e fotografici. Ma Grease lo era. La forma del musical era tutta nuova, per noi. A eguagliare la bellezza del film musicale arrivò solo la pellicola dei Blues Brothers, tre anni dopo. Ed eravamo già in età da cinquantino.
Ci sono passaggi epocali che non si dimenticano. Andai a vedere Grease con la compagna di classe Rossana Galetti, la Ross. Davano il film in un cinema vicino a Porta Po. Alle 14.30 eravamo lì, nella sala semideserta. Due ore inchiodate alla poltrona, decidemmo di vederci anche la seconda proiezione. Un tempo potevi fermarti… Privilegio di noi boomers. Tornai a casa che erano le 18 passate. Presi una ramanzina da mia madre, avevo sforato l’orario concordato. Non c’erano i telefonini, sarebbero arrivati 13 anni dopo. Di certo ne valse la pena. Infrangere le regole per una pellicola che ha fatto la storia del costume, capendone la bellezza senza tempo, è qualcosa che oggi fa tenerezza, ma merita un encomio.
Oggi dalla tv danno di tutto, serie infinite, non serve uscire di casa. Dallo smartphone si lavora, si guardano film, si producono e montano filmati. Ma niente ha il sapore autentico di quello stacco tra fantasia e realtà che ti dava l’uscire dalla sala del cinema e tornare a casa ancora stordito, immerso in un limbo di bellezza che si chiama arte.
La morte di Olivia Newton John mi sembra virtuale, in realtà Grease è vivo e lotta insieme a noi, per sopravvivere ai surrogati e ai nuovi formati. Il mondo è cambiato e va di lì, ma non sarebbe arrivato fin qui senza i capolavori, senza la bellezza analogica di cui c’è ancora tanto infinito immenso bisogno. Per restare un po’ umani.