L’ex capo Cobas latte e della prima Ercolina, Robusti: La terra coltivata resta sempre la stessa. Non chiudono le aziende, chiudono gli agricoltori

9 Febbraio 2024
Lettura 5 min

di Giovanni Robusti – Dal sito del Parlamento Europeo. https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/106/il-finanziamento-della-pac.

“Da diversi anni, la percentuale delle spese agricole nel bilancio dell’Unione europea è in continuo calo. Mentre agli inizi degli anni ’80 la PAC rappresentava il 66% del bilancio dell’Unione europea, nel periodo 2014-2020 tale percentuale ha toccato solo il 37,8% e nel periodo 2021-2027 rappresenta il 31%. ……. Il costo di bilancio della PAC rapportato al reddito nazionale lordo (RNL) dell’Unione è quindi diminuito dallo 0,54% del 1990 allo 0,32% previsto per il periodo 2021-2027”.

PARTENDO DA QUI, OSSERVO!

Ho sempre qualche riluttanza a commentare l’attuale protesta dei trattori alla luce della evidenza giornalistica che ne viene data e della salita sul carro delle forze politiche tutte o quasi. Ognuna per tirare le proprie motivazioni elettorali. Tutte per sfruttare un passaggio di visibilità. Alcune per lanciare candidature più o meno note.

Non sono, attualmente, un esperto essendo fuori dal giro operativo. Tuttavia la primavera della protesta dei trattori del 1996/7 posso dire di averla vissuta dall’interno. Se mi è consentito, di averla anche un poco guidata e indirizzata. Cercando di far capire bene il perché, il come, il quando. Elementi che, oggi, paiono abbastanza confusi. Ragion per cui mi permetto di esprimere una modesta opinione sul presente.

La protesta esplode in Germania, a seguito dei tagli di bilancio nazionale tra cui il più vistoso sulle accise del gasolio. Tutto sommato poca cosa sufficiente a fare da miccia. Segue la Francia che, da par suo, ha sempre dimostrato efficacemente come si fanno le proteste vere, quelle che fanno male.

In Italia inizia a muoversi qualche trattore nelle zone marginali e tali restano sino a quando non si svegliano, curiosamente, le prime pagine dei TG. Quelle definite Tele Meloni. Che sia un caso? Non credo.

Ma se aumenta il numero dei trattori non si amplifica l’area della protesta. Le aree dell’agricoltura ricca, il 20%, dove va finire l’80% dei contributi comunitari, sta al caldo e non muove nulla. Anche questo, non è certo un caso.

Come non si muove nessuna sigla sindacale agricola se non per le interviste di rito. Anch’esse, si dice, finalizzate alle candidature europee.

Le risposte della politica sono le più disparate e spesso disperate. Ripristinare, in parte, la riduzione dell’IRPEF del governo Renzi. Valore 100 milioni. Contro una riduzione dei fondi agricoli europei, per l’Italia di 20 e passa miliardi, trovare 100 milioni … certamente non risolve il problema. Aumentare i fondi PNRR da 5 a 8 miliardi. Dei quali, in tasca a chi ha

ragioni per protestare, andrà: zero. Saranno destinate ad “opere” di interesse agricolo ambientale. Gestite e indirizzate dai soliti noti. Il resto sono parole. Tante e frequentemente incommentabili. Pronunciate, spesso, da chi un minuto prima, dissertava agiatamente di guerra a Gaza, di Trump, della prostata di re Carlo 3° e via cantando.

Qual è allora la vera motivazione e la vera attesa di questa gente che protesta?

E’ il malessere di chi si vede escluso da una prospettiva di lavoro che viene da anni. Ereditata da generazioni. Aziende che stanno diventando o sono già, marginali. E non sono poche, in numero.

Aumentano i fertilizzanti per effetto della guerra. Il costo delle esposizioni bancarie, che non sempre sono indebitamento negativo, per effetto dell’inflazione.

L’aumento del costo dei mezzi tecnici, sementi, pesticidi, alimenti e integratori zootecnici, assicurazioni etc etc .

Tutti fattori negativi del reddito che, oggi, non si scaricano più su un atteso incremento del valore medio della produzione. Tenuto anche conto che la produzione è stata compromessa da tanti fattori climatici. Guardiamo ad esempio al vino, alla vite. Al sud scoppia la peronospora, fungo che deriva dalla presenza di umidità. Tipica condizione, sino ad ieri, del nord. E al nord si perde produzione per la siccità.

Il prezzo del latte, che diminuisce solo alla stalla e non nei banchi di vendita e che deriva dalle eccedenze produttive, rispetto ai consumi che si riducono, dei mercati tedesco, del nord europa e della Francia.

Il prezzo dei cereali che si contrae per effetto delle importazioni ucraine. E tanti altri esempi.

Tutto questo variegato insieme di fattori, si scaricano sulle aziende agricole di dimensioni minori e nelle zone con poca strutturazione agricola. Nelle zone ricche ci sono cooperative e industrie di trasformazione, dimensioni aziendali maggiori che ammortizzano gli alti e bassi del mercato.

In altre parole. E’ in atto una ristrutturazione delle dimensioni dell’impresa agricola. E’ successo e succede nel commercio dove chiudono i piccoli e si rafforza la grande distribuzione. Nel mondo dell’artigiano: chiude la forneria e si va a afre il fornaio dentro al centro commerciale. E centinaia di esempi simili.

Lo fu anche nel mondo del latte quando protestavamo per le quote. All’epoca l’”intellighenzia” agricola avrebbe preteso che, questo cambio strutturale, fosse pagato da chi sarebbe stato costretto ad acquistare quote di carta. A favore di coloro che, costretti a chiudere per impossibilita strutturale a continuare, le dovevano vendere. Ma non funzionò.

Adesso pare che non ci siano carte da giocare. Si può solo cavalcare la protesta per finalità elettorali. Anche da parte di coloro che hanno votato SI al Parlamento Europeo, per la riduzione del bilancio agricolo che per tutte le contestate misure PAC.

Adesso gridano vittoria perché la Commissione ha fatto marcia indietro. Ma le hanno votate anche loro quelle misure. Bella coerenza e scarsa memoria. Come sempre.

Anche se non ci sarà nessuna marcia indietro ma solo uno spostamento temporale a periodi più tranquilli o meno agitati. Tanto è che il commissario che le ha proposte e sostenute, viene da un area politica di destra-destra.

Sarebbe stato meglio se, anziché agire su un IRPEF, che nei campi incide niente, si proponessero interventi per agevolare la transizione strutturale. E’ inutile che si gridi che si perdono migliaia di aziende. E’ una evoluzione della specie.

La terra coltivata resta sempre la stessa. Non chiudono le aziende, chiudono gli agricoltori. Ma altri più grandi ne subentrano. Si sbandiera la chiusura delle stalle ma il patrimonio zootecnico continua e crescere. Le vacche e maiali delle stalle che chiudono vanno a incrementare stalle e porcilaie che divengano sempre più grandi. Con i problemi connessi.

Queste sono crisi che si manifestano da sempre connesse con le trasformazioni strutturali.

Ci sono nel commercio, nell’industria etc. Sono la società che evolve. Vedrete con la intelligenza artificiale e il clima che razza di terremoto strutturale.

Questa dei trattori gode solo della visibilità connessa con lo strumento utilizzato per protestare

Una volta le proteste venivano previste, condotte, supportate, aiutate. A volte con buon senso, a volte in modo scellerato. Oggi pare che l’unico modo sia cavalcarle. Gridando ricette tanto miracolose quanto irrealizzabili. E poi, che la gente si arrangi.

L’unico rammarico è verso questa gente che protesta. Tra un po’ si ritroverà a casa con i problemi irrisolti se non ingigantiti. Con l’IRPEF, forse, uguale all’anno scorso. Cioè zero. Con la possibilità di coltivare il 4% di terreno in più. Che forse gli darà il 4% di reddito in più dello zero virgola che aveva prima. Con le banche che non smetteranno di pressare, se non peggio. E via cantando.

Sfruttamento di malessere agricolo? Se volessi essere chiaro, dovrei essere scurrile. Per cui, da vecchietto e con poca salute, scuoto la testa e osservo. Senza commentare troppo perché, di questi tempi, non si sa mai. Ho già dato!

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