Il miracolo cinese del “capitalismo di Stato”

29 Aprile 2023
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di Sergio Bianchini – Sembra davvero un miracolo che il paese più popoloso del mondo in 40 anni sia passato da una situazione di estrema povertà, uguale a quella indiana, ad una situazione non solo di benessere economico crescente ed anche ad una dimensione statale di importanza mondiale, subito dopo gli Stati Uniti.

Per chi ha ancora lo schema mentale di blocco e cioè l’idea che socialismo e capitalismo debbano combattersi fino alla morte di uno dei due contendenti, la situazione è incomprensibile.

Apparentemente la Cina ha avviato uno sviluppo di tipo capitalista e molti interpretano quella che i cinesi chiamano apertura come una svolta, con l’attuazione di un “capitalismo di stato”.

Si sminuisce quindi il valore di un’esperienza che è in assoluta continuità valoriale con il socialismo e che è riuscita a stabilire una serie di novità concettuali ed organizzative capaci di realizzare i risultati grandiosi che tutti i profeti del socialismo ambivano. I Il termine capitalismo di stato allude ad una copiatura del modello economico occidentale con però l’orrore dell’autoritarismo statale. Riporta quindi tutto dentro il primato orgoglioso e indiscutibile dell’occidente.

Si ignora o comunque si nega l’evoluzione dell’idea socialista e del portato della terza internazionale, quella comunista, da cui la Cina attuale è nata.

L’8 dicembre 1991 i capi di Russia, Ucraina e Bielorussia si incontrarono a Belavežskaja pušča per firmare l’accordo di Belaveža, che dichiarava dissolta l’Unione Sovietica e la sostituiva con la Comunità degli Stati Indipendenti. A quel punto di fatto gli Stati uniti acquisirono in toto il dominio del mondo.

Si pensava che anche in Cina sarebbe avvenuta la metamorfosi”democratica” la caduta del Partito Comunista e il trapianto della “democrazia” occidentale.

In effetti in Cina visioni in questo senso si manifestarono anche dentro il partito che da circa dieci anni, sotto la guida di Deng Xiao Ping aveva lanciato l’apertura sul terreno economico.

Furono anni di tensioni interne e sociali il cui episodio più noto è quello di piazza Tien AnMen.

Ma dopo 10 anni di “nebbia” come la chiamano i cinesi, si consolidò la linea attuale e cioè il consolidamento del ruolo guida del Partito Comunista e parallelamente lo sviluppo dell’apertura economica.

Si dice che Deng Xiao Ping, l’ideatore della riforma e della politica di apertura, avesse chiesto ai Russi molte notizie sulla politica economica successiva alla rivoluzione del 1917.

E in effetti l’apertura di Deng lanciò nel 1980 assomiglia molto alla NEP sovietica lanciata da Lenin nel 1921,dopo una imponente rivolta contadina e la rivolta anarchica dei marinai di Kronštadt. Si tenne allora il X Congresso del Partito Comunista Russo nel quale Lenin introdusse la Nuova Politica Economica che sostituì il comunismo di guerra.

La libertà di commercio venne ripristinata e quella di impresa confermata ma rimase la proibizione dell’utilizzo di manodopera dipendente. Sotto la NEP, non solo la proprietà privata, l’impresa privata e il profitto privato furono ampiamente ripristinati nella Russia di Lenin, ma il regime si rivolse al capitalismo internazionale per assistenza, dichiarandosi disposto anche a fornire generose concessioni agli investitori stranieri.

Si pensava essere un insieme di misure transitorie necessarie solo per garantire la sopravvivenza e la pace sociale fino al passaggio ad un socialismo integrale quando tutta l’economia sarebbe stata statalizzata.

Naturalmente il partito deteneva sempre il controllo finanziario, quello militare e quello culturale.

La politica cinese dopo il 1980 ha proprio tutte le caratteristiche della NEP di Lenin ma con la notazione specifica che il “periodo transitorio” è un processo di lunga durata, che durerà e si svilupperà in decenni.

Il Partito Comunista Cinese dopo i dieci anni di guerra civile della rivoluzione culturale ha imboccato questa via che ha dato grandiosi frutti sul piano economico.

Anche in politica estera c’è stato un bilancio dell’esperienza Russa, con l’abbandono della politica di blocco e dell’idea di ampliare costantemente il blocco delle alleanze socialiste fino all’annientamento del blocco capitalistico contrapposto.

C’è una grandissima continuità valoriale tra l’impianto culturale dell’internazionale comunista e la strategia interna e internazionale cinese ben descritta nei documenti del 20esimo congresso del PCC tenuto lo scorso anno.

E la cosa veramente sorprendente è che mentre in occidente l’ideale socialista è praticamente scomparso, la politica interna ed estera del PCC passa attraverso continui successi che terrorizzano USA e Gran Bretagna ma trovano un rapidissimo crescente consenso in tutti i paesi in via di sviluppo.

Il livore Angloamericano verso la Cina è così evidente e sgradevole da suscitare disagio negli osservatori lucidi. E’ però chiaramente anche impotente al punto che prefigura un collasso finale, simile ma simmetrico a quello dell’URSS e l’apertura di una vera grandiosa modifica della situazione e dell’atmosfera del mondo intero.

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