L’arte che nasce dal bruco. L’ex Filanda ora museo di Abbadia Lariana

9 Settembre 2020
Lettura 3 min

di Marcus Dardi – Uno dei tessuti più pregiati al mondo è senza dubbio la seta. La scienza la definisce come una fibra proteica di origine animale, prodotta dagli insetti lepidotteri.

I bachi da seta, il cui nome scientifico è Bombyx mori, sono gli artefici di questo capolavoro della natura.

La seta ha origini antichissime, si presume che nel 3000 a.C. in Cina la si sapesse già lavorare con gran maestria. Per i cinesi era un vero segreto di Stato da conservare gelosamente e da non rivelare all’estero. Intorno al 500 d.C. però, due monaci bizantini riuscirono a portare delle uova di baco da seta a Costantinopoli, nascondendole per bene. Iniziò così l’allevamento dei bachi anche nell’impero romano.

Nel XII secolo a Palermo si svilupparono molti allevamenti di bachi da seta, che vennero poi portati al nord. Grazie alla lungimiranza illuminata di Ludovico Sforza, il ducato di Milano divenne poi il maggior e miglior produttore di seta di tutt’Europa.

Con l’arte e l’eleganza che questo tessuto dava alle vesti e ai tessuti, la cultura della seta divenne la maggior economia del Ducato di Milano.

Ludovico Sforza veniva chiamato dialettalmente “el murun” che in dialetto voleva dire il Gelso, proprio perché impose questa economia e cultura in tutto il Ducato.

Ad Abbadia Lariana accompagnati dalla gentilissima e bravissima guida signora Marta Civilini, abbiamo ricevuto una bella lezione sulla seta nel locale museo della seta, ex filanda.

La filanda di Abbadia apparteneva alla famiglia Monti dal 1818 e rimase operativa fino al 1934, cambiando anche di proprietà.

Ma come si fa la seta e che processi di lavorazione ha? Marta ci spiega dunque che……si parte così:

Una falena deposita delle uova, dopo che resta fecondata dal maschio. L’accoppiamento può durare anche per diverse ore fino a che la Signora dice “Basta! Le uova sono pronte!”.

Le uova si schiudono e nascono poi le larve. Da aprile a maggio si raccolgono le foglie di gelso, che vengono tagliate fini, fini per nutrire le larve che pian piano crescono.

Le larve vengono nutrite e cresciute su particolari ceste e si allevano per circa un mese. Molte famiglie del Lario tenevano delle ceste per bachi nelle loro case e svolgere questa attività era considerato un privilegio.

I bachi crescevano fino a 9-10 cm e prima di arrivare a misura, durante il loro mese di crescita, facevano 4 dormite, 3 da 24 ore e una di 48 ore. Tutto il resto del tempo mangiavano le foglie di gelso.

Finito il mese i bachi iniziano a formare un bozzolo, lo tessono a forma di 8 e piano piano, dopo 4gg, sono chiusi e protetti nel loro bozzolo.

Le famiglie allora facevano schiudere un bozzolo ogni 60 per la riproduzione, mentre essiccavano gli altri bozzoli per poi portarli alla filanda.

In Filanda funzionava così.

I bozzoli un po’ ruvidi e sfilacciati in superficie passavano dentro una macchina chiamata “Spelaiatrice” che separava il bozzolo dalla spelaia esterna che veniva usata come seta di seconda scelta.

Un bozzolo aveva una lunghezza di filo di seta lungo da 500 metri fino a 1 km. Alcune specie arrivavano a due km ma il loro filo, troppo debole era inutilizzabile.

I bozzoli venivano messi poi in un “”Crivello” che li divideva per misure per razionalizzare meglio la sfilatura.

I bozzoli venivamo messi poi in secchi di acqua bollente. Delle bambine di 8 anni (ma molte anche di 6) con una scopa di saggina, o a mani nude, pescavano i capi dei bozzoli e li passavano ad una filandiera esperta.

La filandiera esperta prendeva da tre a 10 capo-filo di bozzolo per fare dei fili di diverso diametro.

Il procedimento successivo era la trattura della matassa, la matassa poi veniva avvolta in un rocchetto tramite l’incannatoio.

Una volta pronti i rocchetti si passava poi al vero segreto della Filanda: il Torcitoio.

Il torcitoio è una macchina molto grande e alta che torcendo i fili li rende durissimi come l’acciaio.

Nel museo della Filanda di Abbadia Lariana vi è un torcitoio alto 4 piani, che fa funzionare e torcere 972 rocchetti contemporaneamente e che veniva azionato da un mulino ad acqua.

Al torcitoio lavoravano solo uomini perché per le donne era più pericoloso per via delle ampie gonne. Di giorno lavoravano i torcitori meno esperti e di notte gli operai più esperti poiché il pericolo era costituito dalla presenza di molte fiaccole per far luce e gli incendi erano molto frequenti.

Le donne lavoravano alla sfilatura dei bozzoli. Gli errori, i ritardi e le chiacchere venivano molto spesso multate, le condizioni di lavoro erano pessime e dure. Le pretese padronali erano molto spesso disumane.

Oggi il lavoro delle filande è praticamente estinto ma nella zona di Como sono rimaste ancora delle stamperie di seta molto importanti. La stampa della seta è anch’esso un procedimento molto difficile ed il buongsto italiano, qui, regge ancora.

La nostra visita termina qui e grazie alle spiegazioni di Marta ci portiamo nel cuore un altro pezzo di storia dei nostri borghi, che oggi non c’è più ma che vale la pena di conoscere e di studiare.

Photo by Erik Karits 

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