di Giovanni Robusti – Chi ha vissuto in Lega nel secolo scorso, quando “Padania” era al posto del nome del leader sul simbolo, ha imparato velocemente che chi sparava slogan, difficilmente ricopriva funzioni operative e gestionali. Serviva il megafono di turno. E più le sparava più diventava noto. Tuttavia, poi, a fare il sindaco, il presidente, il consigliere operativo andava chi parlava poco ma sapeva fare quello per cui era destinato. Lo stesso Umberto non ha mai voluto ricoprire ruoli operativi. E’ diventato ministro solo dopo essere tornato dalla malattia e per un ruolo di strategia più che di gestione.
All’epoca, l’interesse ai voti era certamente una priorità come per ogni partito che sui voti vive per sua natura. Ma restava pur sempre una conseguenza della linea politica stabilita. Cioè, la Padania. Si ebbe anche la forza e il coraggio di perdere dei voti, non pochi, sfiduciando il primo governo a cui si partecipò. Perché quel governo interpretò la Padania come uno slogan e non come una aspirazione di un popolo.
L’adesione a quella mozione di sfiducia, un anno dopo essere entrati in Parlamento, raccolse una adesione molto alta da parte dei parlamentari. Che ben sapevano che stavano firmando un suicidio politico personale nell’interesse di un progetto politico superiore e condiviso da un popolo. Abbandonammo il Parlamento romano per andare al Parlamento del Nord. Nacque il governo ombra. Non erano slogan. Erano atti, veri, vissuti e sofferti.
Poi tutto cambiò. Anche Umberto venne convinto a prendere la strada della ricerca dei voti che, non sempre, sono consenso vero. L’arrivo dei voti, o almeno dei sondaggi, ha galvanizzato una struttura sempre più lontana dalla Padania. E chi osava contestare, come sempre, ha dovuto prendere la porta. Per uscire!
L’ambizione di diventare il perno della destra, ha fatto perdere la visione d’insieme. Ha fatto perdere la consapevolezza che, oltre a sparare sentenze, allarmi, battute si dovrebbero prima o poi indicare percorsi, soluzioni, strategie. Dare sicurezza non solo togliendo dalle strade “i negher”, ma anche dando soluzioni per il futuro proprio e dei propri figli. E la botta più grossa è venuta, non a caso, dal covid e soprattutto dalla guerra. Dove non si sparano parole ma proiettili, veri.
Non tutti nel centro destra, hanno seguito la strada in discesa del populismo spinto. Ci si è svegliati dalla droga di parole vuote e per trattenere gli elettori dei sondaggi, è stato sparato ancora una volta uno slogan. Per ora vuoto: “Prima l’Italia”. E la discesa sarà ancora più ripida.
D’altronde basta guardarsi in giro e nemmeno troppo lontano. La storia della Lega di 30 anni si è riassunta negli ultimi 10 anni del movimento dei grillini.
Come finisce? Sino alle prossime elezioni, nulla. Sia la Lega che i 5S semmai cercheranno di abbreviare l’agonia e accelerare il voto. Ma poi i nodi verranno al pettine. Una diaspora sarà inevitabile. La parte che ancora crede sia possibile riprendere il progetto Padano in una Europa dei popoli, speriamo sappia scegliere un gruppo dirigente e soprattutto un leader, semmai esiste, capace di guardare lontano senza farsi prendere troppo dai sondaggi. E questo vale, Padania a parte, anche per i 5S.