di Cuore Verde – Mi astengo deliberatamente dal commentare le “polemiche” di questi giorni. Invasione africana, complotti germanici, magistratura pro-immigrati ecc.. Dense cortine fumogene che, tuttavia, non possono nascondere i segnali che arrivano da Roma. Segnali che preoccupano, in primo luogo, i presidenti delle Regioni. Tagli al sistema sanitario mentre qualcuno sogna il ponte sullo stretto di Messina. Qualcosa non sta funzionando. Occorre forse valutare seriamente l’introduzione di “gestioni separate” delle risorse finanziarie per salvaguardare il sistema previdenziale, sanitario e scolastico? Le macro-regioni, in questo senso, possono fornire una opportunità?
Ho sempre sostenuto che la Padania non è un’idea politica ma bensì una visione geopolitica e geofilosofica. Non dovrebbe appartenere ad una singola forza politica, ma bensì attraversarle tutte. Una forma di coscienza politica anteriore comunitaria. Caricare questa idea di significati politici riferiti esclusivamente ad una parte, sia essa di centro, di destra o di sinistra, rischierebbe di creare posizioni antitetiche ad una idea di comunità padana.
Il primo obiettivo per una nuova politica per la Padania dovrebbe essere certamente quello di far entrare nel dibattito pubblico parole chiave come “stato-regione” e “città-stato”. Milano, Venezia, Genova, Torino e Bologna hanno realmente bisogno di Roma per governarsi? Per “auto-governo” non intendo una posizione secessionista ma, bensì, una gestione realmente autonoma del proprio sistema sanitario, previdenziale e scolastico, prevedendo, in molti casi, una interlocuzione diretta con l’Unione Europea. Il PNNR potrebbe rientrare in questa casistica. Forse, non ci si rende conto che, ad esempio, in Lombardia vive il 16% della popolazione “italiana”, e con i suoi quasi dieci milioni di abitanti, si attesta subito dopo a stati come Belgio, Grecia, Portogallo, Svezia e prima di altri come Ungheria, Austria, Danimarca e Norvegia. Sono numeri sufficienti per diventare uno “stato-regione”?
Non si tratta di creare all’ultimo minuto una “lista autonomista” per ritagliarsi una percentuale in una campagna elettorale. Occorre un grande movimento culturale che coinvolga scrittori, giornalisti, artisti, registi, pittori, attori, creativi ed esperti di ogni settore, compresa l’intelligenza artificiale. Creare uno stato d’animo, un’emozione.
Il secondo obiettivo dovrebbe essere quello di definire il ruolo dei movimenti autonomisti nel panorama politico attuale. La Padania deve pensare alla Padania, senza proiettare progetti di “autonomia” a livello “nazionale” con la solita illusoria ambizione “unitarista”. La Costituzione prevede che si possa disporre la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni. La Padania, intesa come nuova regione “italiana” e, soprattutto, “europea”, nell’ambito di un vero sistema federale, potrebbe a sua volta definire la propria organizzazione interna mediante una federazione di regioni, province e comuni. Un movimento autonomista, in questo senso, dovrebbe assumere il compito principale di sviluppare e definire le questioni geopolitiche e geofilosofiche. Resta il problema principale: come inserire questa idea geopolitica nei programmi dei partiti politici? I partiti attuali, al Nord, sono “padanizzabili”?
I loro rappresentanti, votati al Nord, si sentono realmente legati al territorio da identificarsi con esso e le sue istanze? Allo stato attuale, la risposta appare negativa. Anche i “corpi intermedi”, le rappresentanze industriali e sindacali del Nord, non appaiono attraversati da particolari afflati autonomisti. I movimenti autonomisti dovrebbero poi proporre e sostenere seriamente l’introduzione nelle scuole dello studio delle lingue padane per invertire gli effetti di un vero e proprio “colonialismo culturale” derivante dal mito della “romanità” trasfuso poi in quello della “italianità”. Anche la storia “locale” deve avere un posto di rilievo nei programmi scolastici. Un veneto, ad esempio, non dovrebbe disconoscere la storia millenaria della Repubblica di Venezia.
Tutto questo non per una pretesa superiorità sul “foresto”, ma per restituire dignità alle lingue e alla storia della Padania. Il terzo obiettivo potrebbe essere, pertanto, la costituzione di partiti padani di vario orientamento politico perché, allo stato attuale, appare illusorio che possa rinascere un partito padano “ecumenico” come la Lega Nord. L’astensionismo ampio e ormai consolidato, dimostra, al di là di una certa apatia fisiologica, che l’attuale l’offerta politica “italiana” suscita scarso interesse. In fondo, semplificando, si tratta di una questione di analisi di mercato. A questo punto, si tratterebbe di creare dei percorsi politici “personalizzati”.
Le associazioni padaniste, in questo senso, dovrebbero organizzarsi come “incubatrici di imprese” politiche, ovvero, centri di analisi (“think tank”) per nuovi partiti politici padani offrendo anche servizi quali formazione e consulenza per una nuova classe dirigente padana. Questa associazioni, per i nuovi partiti padani, potrebbero poi risolvere problemi basici quali lo stesura dello statuto e dell’atto costitutivo, il reperimento di una sede, consulenza legale ed amministrativa, conoscenza dei regolamenti politici per le elezioni, presentazione e registrazione dei simboli, accesso a fondi e finanziamenti e altre questioni similari. Le associazioni autonomiste, intese quali “incubatrici di partiti padani”, potrebbero quindi dotarsi di un piccolo pool di professionisti.
Costituire dei partiti padani non significa essere necessariamente dei “secessionisti”. Significa piuttosto (ri)portare l’idea politica padana sul territorio utilizzando un linguaggio conosciuto. I partiti padani, secondo me, poi dovrebbero candidarsi soltanto alle elezioni regionali e comunali. L’obiettivo sarebbe quindi di conquistare le regioni del Nord. Quella dei partiti padani, in origine, fu un’operazione utilizzata per le elezioni del Parlamento Padano del 1997. In quel caso, però, si trattò di un’operazione “lega-centrica”. Qui occorrerebbe invece una manifestazione spontanea, non eterodiretta, magari come “gemmazione” nell’ambito dei movimenti autonomisti sfruttando la tipica capacità padana di iniziativa anche nel settore della politica.
Un esempio, sotto il profilo non partitico ma della comunicazione, è proprio il quotidiano la nuova Padania. Non è una testata di partito, ma un giornale scritto con la visione di un territorio, di una cultura e di una sensibilità che è propria di questa terra. Una intuizione semplice e geniale, una piccola zattera che tiene viva l’idea di una politica diversa, fatta su misura sulle esigenze reali di una società completamente diversa rispetto ad altre realtà macroregionali del Paese. Serve un genio a capirlo?
Credit foto jametlene-reskp-3Dtu6_XfqIk-unsplash-scaled.jpg