Nuovo affondo dei medici lombardi. Questa volta per “l’inconsistenza della Fase 2” della Regione

23 Aprile 2020
Lettura 2 min

Avevano già scritto. Contestando e diffidando in diverse occasioni i vertici sanitari e territoriali lombardi per ritardi, mancanza di un piano di prevenzione e tutela della loro categoria.

Oggi la musica cambia di poco. Ecco l’ultima denuncia.

“Rileviamo l’assoluta inconsistenza dei contenuti del documento sulla ‘fase 2’di recente approvato dal Consiglio regionale della Lombardia, riguardo alle proposte di riorganizzazione del sistema sanitario, che altro non fanno che riproporre l’esistente, lasciando di fatto immutate le criticità risultate evidenti, dolorosamente, nella gestione di questa pandemia”. Sono le dure parole di Paola Pedrini, segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) Lombardia. Che in particolare cita due passaggi del documento ‘guida’ per quando comincerà la ripresa delle attività, post fase 1 dell’emergenza coronavirus. “Abbiamo preso atto, con stupore, del documento – afferma -. Nella parte introduttiva leggiamo: ‘La Risoluzione impegna il presidente e la Giunta regionale a farsi portavoce presso il Governo ed in ogni sede istituzionale… affinché sia concessa una maggiore autonomia nel coordinamento dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, per ricondurli a tutti gli effetti quali dipendenti del sistema sanitario regionale. Lo stupore aumenta leggendo la parte successiva del documento che, smentendo sostanzialmente l’affermazione precedente, per i medici di famiglia, si fa riferimento all’ordinamento attuale, quello cioè di liberi professionisti convenzionati”.

“Registriamo inoltre con dispiacere l’incapacità di analisi della situazione e soprattutto l’assenza di un’analisi degli errori – osserva Pedrini – sempre doverosa da parte di chi ha la responsabilità e l’onere di gestire un’organizzazione complessa, soprattutto in corso di eventi catastrofici. Un evento catastrofico spesso rende inevitabili gli errori, tutti lo sappiamo, ma gli errori devono essere riconosciuti, vanno corretti, non vanno nascosti“. Per Pedrini, “la proposta del passaggio alla dipendenza dei medici di medicina generale comporterebbe il venir meno del rapporto di fiducia tra medico e paziente, sostanziato dalla fine della libera scelta del cittadino, tanto cara a chi governa la nostra regione”.

Questa proposta inoltre, aggiunge, “comporterebbe quantomeno un raddoppio dei costi attuali per gli oneri riflessi, l’obbligo per la Regione di fornire idonei locali e strutture, di fornire tutto il personale necessario (infermieri e amministrativi) e non solo un modesto e parziale rimborso come avviene attualmente, di garantire le turnazioni dei medici che non potrebbero essere di certo utilizzati 12 ore al giorno, quindi quanto meno un raddoppio degli stessi, cosa impossibile in quanto si fatica già a coprire gli organici attuali”.

A meno che, conclude la numero uno di Fimmg Lombardia, “con un’inappropriatezza di linguaggio a cui siamo stati abituati, non si volesse intendere solo la volontà di introdurre norme che rendano il medico di famiglia succube della politica, come già purtroppo è avvenuto per i colleghi che lavorano negli ospedali. Non ci sembra pertanto necessario commentare oltre”.

Già nel recente passato l’organizzazione aveva chiesto il 16 marzo ad ATS, Regione Lombardia e il Ministero della Salute di:

  • A provvedere all’immediata erogazione a tutti i medici di medicina generale e medici di continuità assistenziale, di kit completi ed in numero adeguato di dispositivi di protezione di qualità idonea a contenere sia il rischio di contrarre il virus che di esporre la popolazione ad involontario contagio.
  • A provvedere, nello stesso tempo, a sottoporre tutti i medici, infermieri e personale di studio e, nel caso di positività, famigliari e conviventi ad adeguato test di valutazione dell’avvenuto contagio.

Il 22 marzo: “Ancora drammaticamente e pericolosamente insufficienti i DPI. Il nostro riconoscimento ai pazienti, agli amministratori locali e all’areonautica militare che hanno dato il loro contributo con donazioni (per quanto ben lontane dal sopperire alle reali necessità)”.

Il 28 marzo avevano scritto: “Diffusi dalle autorità numeri sempre più inattendibili, non vorremmo che la confusione sui dati serva a nascondere la responsabilità dei generali nella Caporetto della sanità pubblica italiana”.

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