I partiti che non vedono il Nord negano Galileo Galilei

18 Maggio 2020
Lettura 3 min

di Giuseppe Reguzzoni – Che cosa tiene insieme lo stato? Che rapporto c’è tra ciò che chiamiamo “stato” e il mondo di valori in cui l’individuo si identifica – se si identifica – come “comunità”? Che cosa c’è prima della “politica”, che, non scomparendo in essa, sia in grado di darle consistenza e stabilità?
Gran parte del dibattito odierno e insistentemente riproposto sul cosiddetto Risorgimento ha a che fare con queste domande elementari, che, a loro volta, hanno a che fare con l’essenza stessa della democrazia. O lo stato è un fatto di coercizione e sta insieme perché qualcuno ha la forza per imporlo, o lo stato è il frutto di una libera decisione, un contratto, un patto, come vuole la tradizione politica occidentale. Sul piano storico è difficile sostenere che l’Italia unita, prima del 1945 sia stata un fatto di libertà e non di coercizione.

Di certo non furono un fatto di libertà i plebisciti che sancirono l’annessione degli stati italiani al Piemonte dopo il 1861, né lo furono le cannonate di Bava Beccarsi sugli operai milanesi o le esecuzioni di massa di soldati italiani ordinate dal generale Cadorna durante tutta la prima guerra mondiale per “forgiare la nazione”, né, men che meno, lo fu il fascismo. La storia d’Italia non inizia nel 1861, e nemmeno nel 1945. Ma, almeno, a partire dalla Costituzione Repubblicana, sia pure in termini e in forme a tutt’oggi incompiuti, l’idea di sovranità popolare è divenuta il pilastro che regge o dovrebbe reggere le istituzioni. Pretendere di fare del 1861 l’anno zero della nostra storia è mettere in atto un’operazione di propaganda, tra l’altro non delle migliori quanto a efficacia, dato che a smentirla, ormai, c’è il lavoro di tutti gli storici seri.

Chi vince non scrive la storia ma fa propaganda storica

La storia, quella scritta col sangue dai vincitori, è stata ed è in gran parte strumento di propaganda, ma la storia seria, quella scientifica, che lavora su fonti e documenti, ha da tempo alzato i veli della retorica e rivelato quel che realmente accadde in quegli anni. La storia seria non può non chiedersi perché a partire dal 1861 siano state sistematicamente e violentemente eluse tutte le alternative all’orrenda costruzione centralistica imposta al neonato Regno d’Italia. Non può non chiedersi perché le proposte di Cattaneo o anche di Gioberti, assai più rispettose della storia e delle culture d’Italia, siano state demonizzate e messe da parte dai nuovi padroni. Le logge e la cricca al potere poterono censurare le grandi domande e la richiesta di libertà che salivano da secoli di storia federale, ma non impedire che essere riemergessero dal fiume della storia.

Nel 1861 si attuò una tappa della nostra storia politica, ed essa non fu l’esito di un patto, di un “foedus”, ma di un atto di forza e di coercizione. Non è scritto da nessuna parte che quella tappa debba essere l’ultima e la definitiva, a meno che si voglia dare a quel momento storico una connotazione religiosa, sacrale e, dunque, intoccabile e inviolabile. Lo si può fare, se si crede, ma bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. I dogmi non appartengono alla vita e alla cultura politica, ma a quella religiosa.

La venerazione dell’unità

Si vuole che l’unità e indivisibilità della nazione siano un dogma da coltivare, venerare, adorare? Lo si dica. Si dica apertamente che tutto è relativo: la famiglia uomo-donna, la vita umana nel grembo di una donna, la fine della nostra vita quando questa si fa impossibile da sopportare … Lo si dica. Si dica che tutto è relativo, meno il culto dello stato-nazione, ma si spieghi anche che cosa significa questo culto, in che modo esso potrebbe o dovrebbe essere trasmesso ai nostri figli. Si dica apertamente che la ricerca storica è libera e auspicabile sulle crociate o sulla santa inquisizione, ma non sui padri nobili della patria, su Mazzini, Garibaldi, i Savoia … Si dica apertamente che non c’è nulla da ricercare perché tutto è già stato deciso per decreto. Galileo, condannato, chiedeva che si desse almeno un’occhiata nel cannocchiale. Non ebbe risposta, se non quella, possente e grandiosa, che venne dalla modernità tutta. La nuova inquisizione non vuole che si guardi nel cannocchiale della storia? L’asse dei poteri forti non vuole che si ridiscuta il modello centralistico aprendosi al federalismo? Lo dica apertamente. Ma non lo farà, per il semplice fatto che essa non ha ragioni da offrire, ma solo interessi da difendere. Allora, però, sarà davvero difficile difendere il patto, il foedus, che tiene insieme lo stato …

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