Il fallimento della zona unica nazionale. Zaia e Rossi lo hanno capito

15 Aprile 2020
Lettura 2 min

di Sergio Bianchini – Tra tutti i commenti che circolano sul virus uno manca sempre e cioè la zona unica nazionale.

Attualmente il Veneto ha circa 14.000 contagiati pari a quelli di tutte le regioni meridionali messe insieme.

Ebbene Zaia a partire da oggi ha abolito l’obbligo di stare in casa a non contagiati, mantenendo i divieti di raduno di ogni genere ed estendendo la ricerca, tramite termometri a distanza, tamponi e analisi del sangue, dei malati per provvedere al loro isolamento.

Ognuno può uscire purchè con la mascherina e i guanti e purchè da solo. Quindi praticamente tutte le attività non gaudenti possono riprendere.

Come mai Zaia lo fa e nessuno protesta? Zaia sta usando il potere discrezionale che la costituzione attribuisce alle regioni. Il governo potrebbe mettere il veto ma dovrebbe appunto…mettere il veto, cosa che si guarda bene dal fare.

La stessa cosa potrebbe avvenire in Lombardia dove le zone più infette, andando per provincia, dovrebbero essere bloccate più fermamente di quanto avvenga adesso. Le province si rivelano ancora una volta una realtà viva con caratteristiche sociali ed economiche specifiche. Le vacanze forzate per tutte le aziende non essenziali attuate fin dall’inizio nelle province di Lodi e di Bergamo avrebbero certamente bloccato moltissimo l’espansione del virus. Peccato che il vertice continui ad ignorare le province sia come entità statistiche che operative e darle per morte. Come, da parte di alcuni, si vorrebbe fare anche con le regioni.

La chiusura nelle zone più infette dovrebbe essere davvero totale comprensiva di quasi tutte le aziende. E’ chiaro che se il NON ESSENZIALE è definito su base nazionale il numero e la tipologia delle aziende da tenere aperte cresce infinitamente. Invece in zone limitate come le province il blocco reale potrebbe avvenire almeno sul 90% della popolazione. Ben oltre dunque l’ormai asfissiante state in casa che esime almeno il 50% delle persone. Perchè dovendo queste andare a lavorare si muovono sui mezzi e nelle aziende e tornano poi a casa dove distribuiscono ciò che hanno raccolto.

Anche la tragica ma istruttiva vicenda delle case di riposo dovrebbe ormai consentire di tenere sotto stretto controllo quel tipo di realtà. Chi sta più in casa dei ricoverati nelle case di riposo? Ma se il personale ed i visitatori non sono controllati strettissimamente cosa succede? Abbiamo visto e ancora vediamo.

Un controllo mirato, rigoroso e stringentissimo nelle situazioni conclamate e più leggero ma più accorto nelle altre sarebbe la logica conseguenza di una reale capacità di governo attivo ed intelligente.

Invece l’uniformità e le misure generali a pioggia sono proprio caratteristiche delle gestioni inefficaci e tardigrade. E’ questa la tipica situazione dello stato e del governo italiani.

La chiarezza su chi detenga la responsabilità ed il potere decisionale però manca ancora. Eppure il famoso titolo quinto della Costituzione è abbastanza chiaro, ma il nord, oggi quasi tutto in mano alla vecchia lega che lo aveva rifiutato, non ne fa tesoro. La sanità spetta alle regioni salvo il veto statale. Non è vero che spetta alle regioni solo in situazioni ordinarie. Questa dizione non compare affatto. L’emergenza compare solo per giustificare un eventuale veto del governo che può, in casi particolari e con procedure specifiche, SOSTITUIRSI ALLE AUTORITA’ REGIONALI.

Questa cosa non la capisce ovviamente (facendo il finto tonto pedante) la magistratura suprema e il governo Romano per sua natura invadente ma non la capisce nemmeno l’autonomismo lombardo.

Per fortuna la capisce Zaia e perfino la centralistica Toscana. Ma anche in Lombardia sarebbe ancora utilissimo ricorrere a provvedimenti mirati variabili da provincia a provincia. Cominceranno i vertici regionali ad esaminare le varie situazioni con le loro differenze nel tempo reale e a dirigere attivamente la situazione?

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