QUELL’IDEA DI EUROPA DI GIORGIA, DIVERSA DA QUELLA DI MATTEO

5 Dicembre 2023
Lettura 3 min

di Stefania Piazzo – La convention dei sovranisti europei promossa da Matteo Salvini a Firenze viene archiviata tra luci e ombre. Se è vero che l’Europa ha un abito troppo stretto per rispecchiare le necessità reali di un Continente che invecchia, che è sommerso dal tema migratorio, dall’impoverimento del ceto medio, da prospettive future decise dalla Bce e non dai governi nazionali, è anche vero che quello che manca è soprattutto un’Europa politica legata alla volontà dei cittadini. Un Parlamento europeo che sia rappresentativo e possa decidere. Lo ha persino detto Mario Draghi. Che sovranista non è.

Su questo crinale però la politica nazionale si divide. Giorgia Meloni in Europa dialoga con la presidente della commissione europea, Ursula Von der Leyen e con la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola. Fa politica e diplomazia politica.

Matteo Salvini in Europa dialoga con i sovranisti. Fa massa critica con loro in Identità e democrazia. La campagna elettorale incombe, alle ultime elezioni europee del 2019 la Lega raccolse il 34%, oggi è al 10%. La partita si gioca sulle preferenze. Fare opposizione è più fruttUoso. Ma la partita si gioca anche sul bivio di una scelta. Stare all’opposizione o rappresentare le istituzioni, governare.

Tutti gli osservatori politici hanno letto l’assenza fisica di Marine Le Pen e dell’olandese neoeletto, Wilders, in questa chiave. O sei carne o sei pesce. E a parte le uscite improvvide critiche arrivate dal palco verso gli aiuti all’Ucraina e il sostegno a Israele, appare a tutti chiaro che Salvini mette carne al fuoco per una campagna elettorale che lo obbliga a cercare una affermazione su Giorgia Meloni. “Fratelli… coltelli” tradotto in “smarcarsi” più che si può. Lo ha fatto con gli emendamenti alla manovra, lo ha rifatto con il caso Frecciarossa sulla vicenda istituzionale del ministro Lollobrigida, lo fa appena può col Ponte sullo Stretto. Smarcarsi. Funzionerà?

Alle ultime europee il motto era votare la Lega per cambiare l’Europa. Il voto sovranista doveva cambiare gli equilibri. Ma nel 2019 non andò così. Anni fa Massimo Maugeri, parafrasando Mark Twain sulle pagine dell’agenzia Agi, affermava che “la fine dell’Unione europea travolta dall’onda populista, è una notizia fortemente esagerata”.

Quanto basterà OGGI cavalcare elettoralmente lo scontro con Bruxelles raccogliendo la rabbia della gente e sottolineare ancora un’Europa solo come un insieme di pesanti divieti, regole, che non portano né mai porteranno un beneficio a casa nostra?

Nel 2019 si arrivò a nuovi equilibri, ad un rovesciamento degli spazi politici portando Salvini a condurre i giochi non solo in Italia ma anche nella vecchia Europa?

Alla fine, dopo il voto del 2019, popolari e socialisti e liberali hanno tenuto ancora banco. Chi avrebbe mai scommesso su una eventuale alleanza tra Popolari e Destre populiste?

E oggi esiste l’asse sovranista in grado di capovolgere l’Europa? E’ una scommessa davvero alta. E’ realtà possibile o una realtà “aumentata”? Il populismo è un lasciapassare per garantire l’accreditamento dei nostri conti in Europa? Perché purtroppo, allo stato attuale, bisogna fare ancora quei conti con l’oste.

Perché se è pur vero che Giancarlo Giorgetti sedeva in prima fila al summit di Firenze, è anche vero che ha fatto per bene i compiti richiesti da Bruxelles su pensioni e tagli. La coperta è sempre quella, corta. Come te la giochi, quindi? All’opposizione o al governo? E’ più difficile per Salvini che per Meloni oggi come oggi rilanciare, passare dalla rabbia verso Bruxelles ai decreti che il presidente Mattarella deve firmare, da garante.

Nel 2019 il populismo è uscito non vittorioso dalle elezioni, con la Lega fuori dai giochi, nonostante il clamoroso risultato, nelle nomine del nuovo Parlamento, della Commissione e persino fuori dai tavoli per il commissario italiano.

Come si rifà l’Europa che non piace a nessuno? Nel 2019 Putin piaceva, era un alleato preferito. Sembrava un asse ideale per riuscire là dove il compagno Togliatti aveva fallito: portare l’Italia fuori dall’Europa per avvicinarla a Mosca. Poi guarda cosa è successo, con l’Ucraina!

Oggi dove si vuole portare l’Italia? Allora la UE aveva il 25% del pil mondiale, più degli Stati Uniti, molto più della Cina, 11 volte, 11 volte quello della Russia… Perché l’Italia doveva avere un governo contro l’Ue a tutti i costi?

Essere con o contro l’Europa determina il futuro di chi governa. Mai come in questi venti di crisi, questa evidenza sta sotto i nostri occhi.

Un’ultima considerazione, squisitamente storica. Nel 1958, a seguito del successo elettorale della DC, che toccò il 42%, Amintore Fanfani poté formare il suo secondo governo, con il sostegno di repubblicani e socialdemocratici, ricoprendo anche la carica di ministro degli Esteri. Segretario e ministro, insieme.

Ma non durò a lungo, la sua stagione di centrosinistra fu colpita dai franchi tiratori e cadde. Sia da ministro che da segretario.

Alle ultime elezioni europee, quelle del 2014, Matteo Renzi ottenne da segretario del partito e primo ministro un record storico per la sinistra in Italia e in Europa, il 40,8%. Le elezioni europee del 2014 in Italia dell’allora 25 maggio siglarono l’apice. Poi, Renzi, fallito il referendum costituzionale di fine 2017, lasciò il governo. E alle politiche del marzo 2018, il Pd dimezzò i suoi consensi. Renzi cadde anche da segretario del partito.

Salvini è ancora ministro e segretario. I tempi cambiano, ma una riflessione sulle strategie è necessaria per non essere in affanno. Non può essere certo la riforma dell’autonomia a poter fare la differenza, con un Paese diviso, con il 47% degli italiani che non paga l’Irpef (fonte Report Itinerari previdenziali), con una sanità che non sa dove reperire i fondi perché la fiscalità generale è schiacciata dalla previdenza…

Non sarà sempre colpa dell’Europa se siamo arrivati fin qui.

credit foto: immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

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