Green Pass, effetti avversi e l’uomo della strada

27 Luglio 2021
Lettura 3 min

di Giuseppe Rinaldi – Si sa che la gente priva d’ermellino, titoli accademici o parlamentari, appartenente, cioè, alla categoria degli “uomini della strada”, con i soldi dei quali si pagano le funzioni dei primi, poca voce in capitolo ha nelle stanze di chi “conta”. Ricordo, in proposito, un dibattito televisivo sul fisco durante il quale il paternese sen. Ignazio La Russa tacitò sgarbatamente un “semplice” ragioniere col quale era in polemica, facendogli capire che in quella sede non aveva titoli per interloquire. Lontanissimo, pertanto, per modi e accenti da quel garbato contraddittore che era Giorgio Almirante, che di La Russa fu sodale e “donno”. Va ricordato che il senatore è avvocato ma non tributarista come Tremonti e che nel suo cursus honorum parlamentare mai è passato vicino al dicastero dell’Economia e Finanze.

Nella nostra democrazia il popolo è veramente sovrano? In caso affermativo si chiede: quante leggi d’iniziativa popolare sono diventate tali e in che percentuale?

E’ tempo di green pass. Chissà se “l’uomo della strada”, quello privo di paludamenti, con addosso null’altro che i vestiti onde evitare d’incorrere in “atti osceni in luogo pubblico”, può manifestare il proprio pensiero senza dover temere l’intimazione: “Ma tu che ne capisci!”.

Proviamo.

C’è un’isoletta nel Mar dei Vaccini, dove reietto, risiede una bella fetta di popolo italiano che dei vari Astra Zeneca, Pfizer, Moderna ecc., non si fida, e non si fida per varie ragioni; vuoi perché ogni giorno i giornali danno notizia di un decesso dopo l’assunzione del vaccino senza poi sapere se c’è stata una correlazione tra iniezione e decesso: la magistratura indaga…. Vuoi perché le informazioni sui farmaci via via sono state contraddittorie: Astra Zeneca sì, Astra no, Astra Zeneca forse. Vuoi perché il pochissimo tempo avuto per mettere a punto i vaccini fa temere che la loro sperimentazione avvenga sull’uomo, giorno dopo giorno, iniezione dopo iniezione, caso avverso dopo caso avverso, anziché in laboratorio. Non per nulla, ogni tanto, sui “bugiardini” dei farmaci in questione appare un nuovo possibile all’erta per una particolare patologia.

Se i portatori del sapere scientifico (nel 2020, c’era chi sosteneva l’inesistenza di pericolo in quanto si era scambiata per pandemia una forma seria di influenza, post rapidamente cancellato poche ore dopo il lancio), assieme ai detentori del “verbo” politico amministrativo, anziché inveire, minacciare, ghettizzare i dubbiosi, provassero a convincerli che i fattori avversi, i rischi radicano in ogni farmaco, pozione o elisir di fattura chimica, avvicinandoli quasi individualmente, anziché dar loro una “arrunzata”, come si dice in Sicilia, probabilmente gli effetti delle loro parole sarebbero migliori di quanto non sono.

Vada al generale Figliuolo il suggerimento. Siamo in periodo estivo e all’aperto si possono tenere, con la prudenza del caso, conferenze e dibattiti sul tema. Le minacce possono essere pericolose sulla pelle di gente provata da mesi vissuti da innocenti agli arresti, e per colpa di chi?..

Al colto e all’inclita, ogni giorno tocca di leggere di decessi avvenuti subito dopo la somministrazione di un vaccino. Decessi che se pur ufficialmente dichiarati privi di un nesso di correlazione con il vaccino stesso impressionano e fanno pensare. Negli ultimi giorni, tre casi “avversi” in Calabria, uno in provincia di Agrigento, tutti dopo la seconda dose del farmaco salva-vita. La magistratura apre un fascicolo, la scienza risponde: “non c’è correlazione”, la salma viene restituita ai famigliari, i quali per tutta la vita si chiederanno: ma senza la vaccinazione sarebbe morto lo stesso? L’aneurisma, l’encefalite ipossica, il trombo, che hanno spezzato un’esistenza sarebbero sopraggiunti ugualmente? Ovvero, pur in assenza di nesso diretto, l’evento è stato indotto, facilitato, favorito dal vaccino (scusate i termini, ma l’uomo della strada scrive come parla, ma si fa capire)?

Questi interrogativi meriterebbero approfondimenti, dibattiti e risposte convincenti, anziché le generali enunciazioni dottrinali veicolate dalla stampa, da politici e TV.

E poi ci s’interroga sul perché della renitenza al vaccino. Per paura. C’è chi ha paura dei ragni, anche quelli piccoli, innocui e domestici in campagna e c’è chi teme il vaccino. Entrambi meritano conforto e non contumelie, attraverso il convincimento che la “vedova nera” da noi non alligna, e che l’iniezione salva vite e non le affossa. Evitando enunciazioni del tipo: “Il beneficio è comunque superiore al rischio”, giacché ove questo dovesse piombare addosso, il fatto statistico non conforta, né rasserena l’animo in gramaglie.

Ora c’è il green pass. A giorni varrà per ristoranti al chiuso, bar con esclusione della mescita al banco, ritrovi vari, e domani? Arriverà per i negozi, i supermercati, le farmacie ecc.? Cosicché lo sfortunato popolo dei renitenti a vario titolo, vedrà far terra bruciata attorno alla loro isoletta e sarà spinto viepiù verso il mare e una volta in acqua bere o affogare. Ciò avverrà in nome della libertà, del bene comune, dei principi costituzionali, per carità; anche sotto l’usbergo di frasi fatte che ormai non fanno più venire la pelle d’oca come accadeva ai nostri padri, in quanto abusate. “La mia libertà finisce dove inizia la vostra” (Martin Luther King). Ma se ciò è vero, è anche vero che il diritto dello Stato nel proporre solo “consigli” cessa dove inizia l’obbligo di usare l’imperio.

Se è così necessario, salutare e imperativo vaccinarsi si renda obbligatorio. Basta una legge ad hoc, accompagnata, però, da uno stanziamento straordinario di fondi, giacché ogni “manifestazione avversa” avrà un prezzo.

Parere dell’uomo della strada, per carità.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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