Siamo un Paese dove 1 italiano su 2 guadagna meno di 1.100 euro al mese

26 Febbraio 2023
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 “Il tasso di occupazione in Italia è pari al 58% mentre nel resto della UE è del 70%, non solo, questo 58% ha uno stipendio inferiore a1.100 euro e lavora senza turni, giorni di riposo, orari adeguati. E a dare il 95% della forza lavoro in Italia sono le aziende con meno di 10 dipendenti, proprio quelle che rientrano nella categoria dei clienti fissi di Agenzia delle entrate e della riscossione e delle banche. Dove l’occhio ciclopico del fisco si accanisce con bombardamenti fiscali e costi sul lavoro che incidono, fino a piegare, gli stipendi stessi. Di questo passo nel 2030 avremo un milione in più di cittadini bisognosi di sussidi e l’INPS denuncia da tempo i conti in rosso”.

Lo afferma in una nota il presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella, evidenziando uno studio fatto dall’ associazione dei consumatori sugli stipendi dei lavoratori italiani. Inoltre un altro capitolo che “viaggia parallelamente al dramma degli stipendi dei lavoratori italiani”, sono le partite Iva. “Solo l’1% delle partite Iva dichiara di guadagnare più di 100mila euro, il restante 95% fatturano circa 30mila euro l’anno lordi” ricorda Paccagnella, aggiungendo che “un forfettario che guadagna 30mila euro l’anno pagherà di imposte circa novemila euro, dopodiché dovrà detrarre stipendi, spese per energia, fornitori affitti e prestiti con finanziarie”.

“Come può quindi un imprenditore garantire uno stipendio adeguato se è costretto a vivere con solo il 30% di ciò che guadagna? Fin quando lo Stato preleverà il 70% del fatturato gli stipendi saranno sempre pari a 2 euro l’ora e il numero di poveri è destinato a crescere costringendoci a pagare sussidi su sussidi che impediscono investimenti volti allo sviluppo economico del Paese” prosegue il presidente di Federcontribuenti, evidenziando che “meno tasse sul lavoro significano stipendi più alti per tutti, significano meno sussidi e crescita economica per tutti”. “Un part time guadagna scarsi 700 euro al meso – chiosa – e il 55% dei contratti lavorativi sono oggi part time e le fasce di età maggiormente colpiti sono tra i 30 e i 50 di età”.

A questo punto, fa presente Paccagnella, piuttosto che ragionare sul reddito di cittadinanza, bisogna pensare al reddito universale: “Stabilito che non si può vivere con meno di mille euro al mese, occorre dare soldi a chi ha uno stipendio inferiore a tale soglia per far si che tutti chiedano assunzioni in regola perché a tutti converrebbe”. “Contemporaneamente occorre rivedere l’attuale normativa sul costo del lavoro: perché – si chiede – bisogna versare tasse su ogni dipendente se già il dipendente viene tassato a monte?”. Un bar in periferia piuttosto che un negozietto di scarpe o vestiti come può, con queste regole, garantire uno stipendio adeguato o una paga di almeno 5 euro l’ora? Come possono farcela – conclude – se ogni mattina sono costretti a rincorrere le richieste del fisco, delle banche, delle utenze e di ogni altro ben di Dio che gli chiede soldi manco fossero bancomat?”. 

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