I peggiori salari d’Europa. Part-time? “In Italia è spesso involontario e diventa una forma di lavoro povero”

2 Novembre 2021
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 “L’andamento dell’occupazione durante le crisi, sia quella del 2008, sia in modo ancora più accentuato quella pandemica, ha comportato sempre, la scelta all’avvio della crisi della cessazione o del non rinnovo dei contratti temporanei e appena la produzione riprende, ha fatto registrare assunzioni prevalentemente precarie (nel 2021 l’80%). Qualcuno sostiene che è un meccanismo economico normale, non è così, certamente non in questa dimensione. In ogni caso, il numero ormai consolidato di circa 3 milioni di lavoratori con contratti a tempo determinato è davvero troppo ampio”.

Lo dice Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, in occasione della presentazione insieme alla Cgil del rapporto durante il convegno “Salari e occupazione in Italia”. Il rapporto richiama l’attenzione sul part-time involontario italiano che è “grosso modo nella media europea, per quanto riguarda il numero delle ore e la quantità di persone a part-time”.

Ma Fammoni si chiede allora “perché in Italia la percentuale di involontarietà (66,2% contro il 24,7% dell’eurozona) è così più alta rispetto alle medie europee? Perché- spiega- quello che dovrebbe essere in teoria uno strumento di conciliazione, rischia di diventare una fattispecie di lavoro povero. Sia perché, in molti casi, si sposa con i bassi salari delle basse qualifiche, o con la precarietà”. In ogni caso, il salario dei part-time  italiani è percentualmente è più basso della remunerazione della media dell’eurozona di oltre il 10%. In sintesi, “3 milioni di precari, 2,7 milioni di part-time  involontari, 2,3 milioni di disoccupati ufficiali (da noi stimati in quasi 4 milioni come disoccupazione sostanziale), il décalage salariale che comunque è previsto in strumenti preziosi di tutela, come gli ammortizzatori sociali, propone uno spaccato davvero troppo alto, ingiusto e insostenibile, di lavoro povero che riguarda il nostro Paese”.

Nel 2020, con l’esplodere della pandemia, il salario medio di un dipendente a tempo pieno in Italia è poi diminuito del 5,8% rispetto al 2019, con una perdita in termini assoluti di 1.724 euro nell’anno. Il calo più ampio nell’Ue (-1,2% in media) e nell’Eurozona (-1,6%). Il ricorso alla cassa integrazione e ai Fondi di solidarietà ha tuttavia più che dimezzato la riduzione del salario medio annuale che così ‘integrato’ si è fermata a 726 euro in meno (-2,4%), come emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio.

In più, in Italia nel 2019, prima della pandemia, circa 5 milioni di persone avevano un salario effettivo non superiore ai 10 mila euro lordi annui, tutte con “discontinuita’ lavorativa”. E’ quanto emerso durante la presentazione del rapporto della Fondazione Di Vittorio-Cgil su “Salari e occupazione”. Oggi risultano circa 3 milioni di precari e 2,7 milioni di part-time involontari, ovvero che lavorano a tempo parziale non per scelta, che si aggiungono a 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. Il salario dei part-time italiani, emerge ancora, e’ percentualmente piu’ basso della remunerazione part-time nella media dell’eurozona di oltre il 10%.

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