Ma perché?! Musei chiusi, centri commerciali aperti. E’ la via dell’inciviltà

15 Dicembre 2020
Lettura 2 min

di Stefania Piazzo – Non saremmo dove ci troviamo ora se considerassimo, anzi, se chi governa e amministra, considerasse la cultura il vero oro del Paese. Un bene immateriale, e dunque sacrificabile. Musei chiusi, teatri chiusi. Cinema chiusi ma corsi, vie, piazze, centri commerciali affollati. Questo è ammesso. Parrucchieri aperti, mostre chiuse.

La divaricazione delle sinapsi della politica sta dando il meglio di sè.

Ma è figlia di una sottocultura, anzi, di ignoranza. Se andate a vedere alcuni sinonimi di ignoranza trovate inurbano, incivile. Incompetente. Profano.

E, ancora, analfabeta, illetterato, incolto. Tra tutti, mi soffermerei su incivile. Perché ridurre a superfluo ciò che trasmette l’arte e il valore che genera nel mondo, non solo sotto casa, è un crimine contro l’umanità.

La cultura, che poi alimenta il turismo, l’industria meno sviluppata e più emarginata da che esistiamo, non è mai citata. In un avvincente editoriale sulla rivista online Finestre sull’arte (https://www.finestresullarte.info/), l’opinionista Federico Giannini, scrive, testualmente:

Che fine ha fatto la cultura in questa fase della pandemia di Covid? Non è stata citata nell’ultima conferenza stampa del presidente del consiglio, non riceve neppure semplici parole di conforto dal ministro della cultura Dario Franceschiniè stata bastonata nel Recovery Plan (nel giro di pochi mesi siamo passati da un ipotetico piano da 7 miliardi a uno stanziamento di 3,1, ovvero l’1,6% del totale, cifra che rende la cultura il settore meno finanziato nella bozza), non riesce a entrare nel dibattito pubblico o a conquistarsi spazi mediatici. Ed è inammissibile che di cultura non si discuta, fosse anche per pensare alla sola riapertura dei musei, che continuano a rimanere pervicacemente e ottusamente chiusi senza che nessuno abbia ancora fornito delle buone ragioni”.

Insomma, se chiusure e aperture sono motivate dall’andamento dei contagi, commenta Giannini, ci spiegassero almeno perché hanno sigillato gli Uffizi e blindato Pompei, che poi è all’aperto. In cambio, però, siamo in 300 in coda per entrare nel negozio del sottocosto che è dentro il centro commerciale. Assembramenti consentiti e interazioni sociali pericolose come la peste davanti a Botticelli o alla casa del Poeta.

Tutti, ma proprio tutti dobbiamo lavorare. Perché ciò che arriva dalla cultura non ha diritti? Perché “si può consumare un aperitivo entro le diciotto o si può stare in coda in attesa d’entrare in un centro commerciale con decine o centinaia di altre persone” ma non si “può entrare in un museo dove, specialmente in questo periodo di pressoché totale assenza di spostamenti per turismo, si avranno buone possibilità di rimanere da soli per tutta la durata della visita“?

Poi c’è l’aspetto economico. La testata infatti puntualizza, e bene, le discriminazioni che sono riusciti a portare a casa in questo lockdown dei neuroni applicati alla cultura.

“A ben vedere, i dipendenti dei musei pubblici percepiscono comunque il loro stipendio sia che il museo rimanga aperto sia che il museo chiuda (quindi in questo caso il problema non sussiste), per i dipendenti dei musei privati assunti a tempo indeterminato c’è la cassa integrazione (pertanto lo Stato, in tal caso, non risparmia con le chiusure), e infine per i precari e i lavoratori meno tutelati c’è, purtroppo, la sospensione o il termine del contratto. Occorre comunque sottolineare che in certi contesti, dove è più alta la frequentazione dei visitatori locali, i musei privati vorrebbero tenere le porte aperte. Risulterebbero invece svantaggiati i privati che detengono le concessioni dei servizi esterni dei musei che attraggono grandi flussi turistici: possibile che si sia tenuto tutto chiuso per non toccare l’intricato e discusso punto delle esternalizzazioni?”.

Ma si potrebbe andare avanti all’infinito. Con l’ipotesi che l’intransigenza sulla chiusura delle palestre sia stato il prezzo che ha pagato l’arte costretta a chiudere per “pari trattamento” negli equilibri tra ministri.

Come si dice? Corpo sano in mente sana.

Photo by Amy-Leigh Barnard 

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