L’INTERVISTA – Elisabetta GARDINI (Fratelli d’Italia): “Torniamo liberi, basta con le verità imposte da tecnocrati e task force”

10 Giugno 2020
Lettura 9 min

di Stefania Piazzo – E’ una donna. E’ veneta. Crede nell’utilità dell’autonomia dei territori ma in uno Stato presidenzialista. Ma te lo premette subito: l’Italia la vuole unita altrimenti non sarebbe l’Italia. Basterebbe però prendere a modello la Protezione Civile, quella del gigante Zamberletti, con cui ha lavorato: sindaci in prima linea, territorio organizzato con competenze chiare. O, se si guarda oltreconfine, basterebbe osservare con interesse la Germania federale, uno Stato forte con i lander. Elogia il prof. De Donno e con lui fa dirette facebook. E dice: il plasma iperimmune non piace perché viene da madre natura e si dona da uomo a uomo…

Elisabetta Gardini fa Politica. Appassionata costruttrice di una casa del partito Conservatore in Europa e in Italia, è proprio in Fratelli d’Italia che, dal 2019, prosegue la sua infaticabile attività. Voluta da Giorgia Meloni nell’esecutivo nazionale, ha onestà intellettuale e la coerenza di chi cerca un confronto libero, alimentato dalla cultura politica.

Onorevole Gardini, quanto pesa nella sua attività politica l’identità culturale e, nel suo caso, essere donna del Nord, in particolare veneta?

“Io sono veneta, ovunque io sia stata ho sempre portato con me le mie radici, la mia cultura è radicata nella cultura veneta contadina. Pensi che quando facevo le campagne elettorali in Europa, dicevo: “vado a venetizzare Bruxelles”. E quando andavo a Roma per fare teatro o televisione, mi dicevano “… tu del profondo Nord…”. Siamo ciò che amiamo, e quando sono a Padova, e per strada vedo quelle pietre, le sento mie, così come io appartengo a quelle pietre”.

Ci può spiegare il più recente sviluppo della sua attività politica, con l’ingresso in Fratelli d’Italia, dopo anni in Forza Italia?

“Vede, questo passaggio è nato a Bruxelles. Avevo da tempo cercato di convincere Berlusconi a trasferirsi nel gruppo dei conservatori, mi sembrava la collocazione giusta: un partito europeista ma riformista, con una volontà forte per cambiare l’Europa, per realizzarla”.

Per ricordare in un piccolo gesto quotidiano gli alpini e il loro impegno durante il Covid

Poi cosa accadde in Europa per arrivare alla sua scelta?

“Avevo grandi rapporti col partito dei conservatori. E le dico anzi una cosa, fui portatrice di un messaggio da parte di Cameron che diceva a Berlusconi: “Se decidi di venire qui, sarai accolto a braccia aperte”. Altre persone hanno invece suggerito al Cavaliere di restare nel Ppe. Quello era politicamente il momento in cui ancora più di oggi quel passaggio sarebbe stato utile. La Merkel allora era fortissima, stare nel Ppe voleva dire essere i vassalli della Germania. La posizione di Forza Italia non avrebbe ripagato in termini di consensi. Nel 2014 infatti il partito perse un sacco di voti. Era difficile sostenere l’idea di portare più Italia in Europa e meno Europa in Italia in quelle condizioni, per quanto Conservatori e Ppe avessero affinità e gli stessi Conservatori fossero rimasti fino al 2009 nel Ppe stesso”.

C’era forse di fondo una visione diversa di Europa?

“Il problema non era la contrapposizione Regno Unito-Unione Europea, ma dare risposte ad un sentimento diffuso di stanchezza, di disagio verso un’Europa che è soltanto una Comunità economica, delle banche, delle regole…”

I vostri avversari politici danno ancora una connotazione negativa alll’essere conservatori. Perché?

“E’ una moda. Invece di discutere, di entrare nel merito, di stigmatizzare gli argomenti, si usa un avversario mettendogli un’etichetta… Sovranisti, populisti, razzisti, omofobi… Arriva l’etichetta che blocca il confronto.

Oggi il partito dei Conservatori è una famiglia politica importante a livello internazionale, mentre i Popolari sono rimasti a mio avviso un po’ isolati. I Conservatori li hai in Gran Bretagna, li hai negli Stati Uniti, li hai in Europa. In Italia ci sono Fratelli d’Italia, una destra vera, internazionale, che ha radici, che ha cultura, che ha passato, presente e futuro. E’ finita l’epoca delle grandi coalizioni, delle grandi ammucchiate, mettere insieme tutto e di più all’insegna del “ci ritroviamo nella politica del fare”. Servono identità chiare”.

Onorevole, ha visto il fiume di Dpcm del governo Conte, la confusione di ruoli e di task force che decidono, senza passare dal Parlamento sovrano, il nostro destino? Non le pare illiberale e antipolitico?

“Certo, non funziona così! E’ come il documento di Vittorio Colao, capo della task force: un documento senz’anima, dove c’è tutto lo scibile, come in un supermercato. Queste sono le cose che puoi fare, scegli! Questa non è una visione politica, questa è la tecnocrazia, la burocrazia imperante. Una brutta copia dell’eurobolla Bruxelles, con funzionari nei loro uffici che giocano a creare gli scenari, i modelli matematici, e poi scelgono quello che secondo loro ci farà vivere meglio. E non si rendono conto che stanno in modo ancora più drammatico ripercorrendo gli errori che la storia ha già condannato. L’ideologia è questa. E’ calare dall’alto modelli astratti e teorici, che violentano la realtà, invece di partire dalla realtà”.

Un politicamente corretto mascherato nelle task force?

“Purtroppo con l’avvallo di molti. Con la politica che abdica dal suo ruolo. Il politico conservatore invece parte dalla realtà. Noi guardiamo la realtà, parliamo con le persone, con le categorie, con le imprese, i disabili, le famiglie e, all’interno di un pensiero che rispetta i nostri valori, mettiamo tutte le persone al centro della politica. Altri invece ritengono centrali dei temi fantocci, usando il politicamente corretto, che è una gabbia”.

Non crede, onorevole Gardini, che per combattere la tecnocrazia serva un sano ritorno alla formazione umanistica in chi fa politica? Lei poi ha solide e profonde radici nel teatro, nell’arte. Non sente questa esigenza?

“Sposo in pieno questa necessità. Io vengo da una formazione umanistica, da studi di filosofia, una formazione che poi ho ritrovato nel teatro, dove ho iniziato la mia professione, passando dal pensiero greco, culla della nostra cultura e della nostra civiltà. Invece i tecnocrati vorrebbero fare tabula rasa dell’essere umano. Se lei vede, molte delle cose che portano avanti, tolgono l’umanità all’essere umano, lo rendono un robot. Quando l’Europa non ha voluto riconoscere le sue radici giudaico cristiane, ha tagliato proprio il ramo su cui era seduta. La sinistra ha grandi responsabilità in questa deriva.

In questa società sempre più tecnologica, con l’intelligenza artificiale che avrà sempre più un ruolo e andrà a sottrarre tante competenze agli uomini, quello che resta, la specificità dell’essere umano, troverà il suo salvavita proprio nella cultura umanistica”.

Lei afferma che essere conservatori vuol dire essere in grado di guardare la realtà. Calato nel mondo veneto, alla vigilia di elezioni regionali importanti, significa anche guardare alle esigenze che questo territorio esprime in termini di autonomia?

“Assolutamente sì. Altra cosa è dividere l’Italia. Mio padre mi portava alle sorgenti del Piave, ricordo ancora quel cartello, “Le mie acque sono sacre”. Così come ricordo le prime gite scolastiche a Redipuglia, sul Monte Grappa… Il nostro territorio in particolare è segnato dalla Prima Guerra Mondiale. Qui sono venuti a combattere i ragazzi di tante regioni del Sud. Sono venuti a morire a casa nostra, vicino ai nostri confini. Il sangue dei nostri nonni si è mischiato col loro, noi non abbiamo più il diritto di dividere questa terra. E’ stato stretto un patto di sangue tra popolazioni diverse, l’Italia è l’Italia perché lo è tutti insieme. Diversi ma uniti.

Altro discorso è l’autonomia: certo, l’autonomia fa bene a tutto il Paese, proprio perché siamo diversi. Prendiamo ad esempio Bruxelles: non può pensare che la stessa regola possa andar bene in Svezia come a Lampedusa. Lo stesso è per l’Italia: non si può da Roma non considerare che abbiamo 1200 chilometri da Nord a Sud con specifiche peculiarità. L’autonomia è una valorizzazione dei territori, sono favorevole ma in un Paese presidenzialista. Dove siamo noi cittadini a scegliere. Poi ci sono i territori con competenze diverse, ma con uno Stato forte che è garante per tutti”.

Che modello di Stato potrebbe andare bene? All’Americana? O è troppo lontano dal nostro mondo?

“Io vedo ad esempio in Germania c’è un governo federale molto forte ma ci sono i lander altrettanto forti. C’è un bilanciamento di poteri e non ci sono sovrapposizioni.

Io mi sono occupata molto di Protezione Civile prima del Trattato di Lisbona, lavorando anche con Zamberletti: un gigante… Parlo della Protezione Civile non a caso perché è un modello straordinario con una impronta di sussidiarietà fondamentale, parte dal territorio: gli attori sono i sindaci, sono la prima linea, la trincea. Da lì poi sali. Ma se non c’è un coordinamento nazionale non funziona”.

Il Covid ha messo a nudo la questione sanità e le competenze tra Stato e Regioni. Come vede questi conflitti?

“Le racconto un episodio. Negli anni ’70 dei miei amici sono andati al mare a Maratea, un amico si è fatto male sugli scogli e al pronto soccorso gli hanno fatto la ricetta per andare in farmacia ad acquistare i farmaci, perché ne erano sprovvisti. Cosa è cambiato rispetto ad oggi dopo il Titolo V della Costituzione? Ancora oggi c’è una divaricazione nelle prestazioni, ma non credo dipenda dal fatto che la sanità sia centrale piuttosto che regionale. Dopo la riforma, non si riesce a capire in capo a chi siano le responsabilità, i livelli di competenze non sono chiari, nessuno è responsabile… sono aumentati i contenziosi a dismisura.

Il Veneto ha avuto una gestione eccellente durante la pandemia. Se fossimo stati gestiti da Roma avremmo avuto la medesima gestione?

Noi in Veneto siamo pieni di medici meridionali bravissimi che però vengono su e si fermano qui da noi, perché se lavori in un contesto difficile dove non hai le garze, non hai le pomate come a Maratea, cerchi altri contesti migliori in cui fare il tuo lavoro. Occorrerebbe che i modelli virtuosi di amministrazione si moltiplicassero… Pensi solo ai costi standard che non si applicano ancora… La questione è aperta e va risolta”.

Il suo prossimo ruolo in Veneto, onorevole Gardini?

“Faccio parte dell’esecutivo nazionale, questo mi permette di lavorare vicino a Giorgia Meloni, che è un leader straordinario, che ha pagato lo scotto di essere donna. Se fosse stata un uomo…”.

Non crede che se fosse stata un uomo, l’onorevole Meloni sarebbe già diventata leader del centrodestra?

“Penso proprio di sì! Vede, le donne sono maratonete, gli uomini sono centrometristi. Siamo abituate a prenderci cura delle cose anche se non abbiamo riscontri immediati. Una scrittrice ricordo nella presentazione del suo libro scrisse: se dovessi descrivere il maschile e il femminile usando la metafora dello sguardo, direi che lo sguardo maschile guarda avanti, lo sguardo femminile si guarda intorno.

Il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni e l’on. Elisabetta Gardini

Nei momenti di difficoltà lo sguardo che si guarda intorno è ancora più importante, perché più stai in crisi più è complessa la situazione, più ci sono persone che restano indietro e più ci vuole questo sguardo che abbraccia tutti e tutto”.

Con chi scenderà in campo Fratelli d’Italia alle regionali in Veneto?

“Deciderà il partito. Poi c’è da dire che non avere un orizzonte temporale certo è sfibrante. Per di più votando a settembre ci si andrebbe anche a sovrapporre con una campagna elettorale estiva, con le vacanze in corso dopo un periodo tragico per tutti e con urne aperte mentre ancora il turismo è in movimento. Insomma, una miopia incredibile da parte di chi decide i tempi”.

Come sta uscendo il suo territorio dal lockdown?

“E’ un disastro. Penso solo all’area termale padovana, le piscine termali non sono ancora aperte. E non è solo una questione di alberghi, ma del commercio, delle gioiellerie, dei negozi di abbigliamento, di un settore che già era in crisi ancora prima del Covid…”.

Onorevole, tra le vittime del lockdown lei non ci metterebbe anche i bambini e gli alunni?

“Sono tra i primi ad aver pagato l’improvvisazione. Ancora oggi non ho capito perché i ragazzi non siano tornati a scuola. Non ce l’hanno proprio spiegato. Ho fatto di recente una diretta facebook con il prof. Giuseppe De Donno, medico straordinario di rara umanità. Abbiamo parlato dei contagi e lui mi ha spiegato che i bambini hanno una possibilità molto bassa di ammalarsi, mancano quei recettori ai quali si attacca il virus. Ma lei si rende conto che siamo l’unico paese al mondo che ha chiuso in questo modo tragico l’anno scolastico? Quelli che fissano regole incomprensibili pensano che il loro mondo sia più importante di quanto non lo sia la terra che è meravigliosa. Hanno stravolto tutto, non c’è più nulla di vero e di reale”.

Visto che ha conosciuto il prof. De Donno, che idea si è fatta delle scoperte della scienza in questi mesi?

“Ecco, proprio il plasma iperimmune dà fastidio a chi fissa regole fuori dalla realtà, e solo perché il plasma iperimmune lo fa madre natura, non viene da un mondo artefatto, di manipolazioni della vita, di uteri in affitto, dove ci sono 90mila generi, e tutto è liquido. Invece il plasma iperimmune, prodotto naturalmente, che vive attraverso le donazioni da uomo a uomo è ciò che detestano coloro che esaltano il monopattino ma odiano la famiglia… Riconoscono però “gli individui”. Però sono contro l’identità, contro la religione, la proprietà privata… per la società liquida. E, come diceva Bauman, devi correre perché se il ghiaccio si spacca cadi nell’acqua gelata… Stanno creando una società malata e se stiamo appresso a loro ci ammaliamo fisicamente e psicologicamente. Dobbiamo liberarcene al più presto e tornare ai fondamentali della vita”.

La Repubblica del Covid è un brutto ricordo, non crede?

“Ciò che ha prodotto questo governo è innaturale. Sono nati da giochi di palazzo. C’è bisogno di libertà, di stampa libera, di persone libere. Mio papà era del 1929 ma già anni fa mi diceva che c’era più libertà durante la sua gioventù che ai nostri giorni. Oggi siamo tutti omologati. E se non c’è la task force o il fact checking, non c’è la verità. Ti devono dire gli altri cosa è vero. E’ pura follia, torniamo liberi e al più presto”.

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