Femminicidi: alla radice, secondo Ricolfi, la “colpa” delle donne di essere avanzate nelle società più avanzate

21 Novembre 2023
Lettura 2 min

di Sergio Bianchini – Sul quotidiano Il Messaggero di martedì 21 novembre Luca Ricolfi analizza da par suo, cioè di uno specialista di analisi dei dati, le varie spiegazioni delle cause della violenza omicida nei maschi abbandonati dalla ex partner femminile.

Si sofferma in particolare nel confutare la tesi dei residui di maschilismo patriarcale come fonte principale ed esamina l’ormai noto paradosso nordico.

Si chiede: “Come mai i tassi di violenza più alti sulle donne si riscontrano nei Paesi considerati più civili o addirittura in quelli più avanzati in materia di parità di genere?

Italia Spagna e Irlanda sono i paesi con meno femminicidi in Europa, di molto inferiori anche rispetto ad Australia, Canada, Israele, Stati Uniti, Corea del sud”.

Dimenticandosi di notare che i tre paesi citati (Irlana, Spagna, Italia) hanno tutti un profondo, antico e storico fondamento culturale cattolico, Ricolfi propone una sua spiegazione del paradosso: ”Una delle radici della violenza sulle donne nelle realtà più avanzate potrebbe essere proprio il loro essere avanzate”.

L’affermazione della cultura dei diritti avrebbe disabituato i giovani a subire dei fallimenti perché tutti a partire dai genitori cercano di salvaguardarli. Ma il fallimento nella relazione affettiva non può essere rimediato dai genitori e quel fallimento può quindi essere il primo vero trauma della vita.

Ricolfi sottolinea come negli Stati Uniti dove la super protezione dei giovani ha assunto tratti esagerati il rischio per una donna di essere uccisa è 7 volte più alto che da noi.

L’analisi di Ricolfi non mi convince in questo caso perché il tasso globale di omicidi in USA è dieci volte più alto che in Italia.

In sede speculativa tenderei ad approfondire il grande peso della cultura cattolica nei paesi storici Europei come Italia Spagna e Irlanda o Polonia.

Un punto critico a mio parere è certamente quello della rottura dopo una fase di relazione anche sessuale completa che dovrebbe essere decisamente sconsigliata dai genitori almeno prima della maggiore età.

Per il maschio questa circostanza (unione sessuale completa) è quella che più spesso produce frustrazione e inaccettazione, reazioni conseguenti ad un apparente insolubile attaccamento.

Forse anche per la femmina la separazione è in tal caso meno accettabile se non condivisa ma la reazione violenta è molto rara, mentre più frequente è quella depressiva.

Il tema da sviluppare e poco trattato a mio parere, in una realtà dove le teorie interpretative abbondano, è quale tipo di insegnamenti e di precauzioni si debbano impartire ai giovani relativamente alle relazioni tra i due sessi alla luce dell’esperienza reale, differenziando le varie fasi di età.

Le storie vere da esaminare ed esporre come base della formazione culturale sarebbero infinite e potrebbero ad esempio sdrammatizzare la fine di un’esperienza e le modalità successive con considerazioni autentiche dei protagonisti.

La cessazione degli incontri e delle quotidiane comunicazioni con l’ex sembrerebbe essere una precauzione fondamentale che spesso il partner in distacco sembra far fatica ad espletare. Inoltre la fine di una relazione affettiva inizialmente libera, condivisa e bilaterale non deve essere vista e dichiarata necessariamente come un fallimento, anzi, può essere un momento di verità utile, con conseguente successivo aumento del benessere e della sapienza relazionale.

Qui le famiglie e gli amici dovrebbero avere un ruolo importante ed infine, o anche in principio, lo Stato con i suoi provvedimenti che si spera siano sempre più rapidi ed efficaci.

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