Come il Nord può svanire sotto il peso del populismo

14 Novembre 2022
Lettura 2 min

di Stefania Piazzo -“Guardo con estremo favore all’eventualità che anche la Lega Nord entri a far parte del PPE. E mi auguro che avvenga presto. La sua azione politica infatti è condivisibile quando affronta argomenti da me sempre difesi, quali il federalismo, il principio di sussidiarietà, le identità dei popoli e i valori e le radici cristiani…”. Con queste impegnative affermazioni in un’intervista del gennaio del 2001 Otto d’Absburgo a la Padania, per decenni autorevole europarlamentare della CSU ed ancora “innamorato” della lezione di De Gasperi, disegnava una prospettiva possibile. Aggiungendo inoltre a voce che un territorio di così ricca tradizione religiosa e civile come il Lombardo-Veneto, fucina di Papi, di missionari e di una straordinaria economia, doveva potersi esprimere con una compiuta rappresentanza politica, magari proprio attraverso il modello bavarese. E che forse la Lega, anche dentro l’alleanza di governo, andava aiutata a cogliere questa opportunità nella giusta cornice europea.

Oggi? Oggi quella Lega non esiste più, la Lega di Salvini è il volto della destra. E in Europa sta con le destre nazionaliste, antiautonomiste, antifederaliste, repressive verso l’autodeterminazione dei popoli.

A metà degli Ottanta, abbiamo assistito alla progressiva “abdicazione di rappresentanza territoriale” non solo della Dc, ma anche dei partiti laici e riformisti, che lasciava i ceti produttivi del Nord orfani ma anche ostili alla politica. Allora, per capire, mancarono molto la lucida intelligenza e la libertà intellettuale di un Walter Tobagi, il riformista cristiano ammazzato non a caso perché organizzava la resistenza all’egemonia di sinistra nel cruciale mondo dell’informazione. E restò isolato perfino “L’Osservatore Romano” che nel 1991 segnalava la corposa persistenza di una grave “questione settentrionale”, ultimo frutto avvelenato di un’Unità d’Italia nata male, contro la fede e senza il popolo…

Su quel territorio c’era soltanto la Lega: che, in forme tumultuose e spesso rustiche, riempì un vuoto e raccolse la rappresentanza di ceti cristiani e popolari, moderati e riformisti, con parole d’ordine semplificate e suggestive. La Lega poi superò  la deriva forcaiola e giustizialista; scongiurò l’altra deriva rischiosa, quella celtica e neopagana; e soprattutto rinsaldò culturalmente quell’elettorato alle sue radici più profonde. Detto con una battuta simbolica, il riancoraggio ai benedettini del monastero e dell’abbazia di Pontida, non a caso dedicata da un millennio a Santiago di Compostela e che tutt’ora (e non lo sa nessuno) conserva e venera come preziosa reliquia il braccio combattente di Santiago Matamoros…

L’auspicio di Otto d’Absburgo, la logica di considerare la Lega, pur con tutti i suoi limiti non come una minaccia o un corollario ma come un’opportunità democratica, oltretutto incastonata in quella che resta tutt’ora la locomotiva dell’intero Paese, è svanito sotto il peso del populismo. E oggi subiamo ancora l’opportunismo sessantottino dell’informazione , anziché proclamare, in forza della Storia, non solo il declino irreversibile dell’egemonia di stampo gramsciano, ma altresì la definitiva “inservibilità” di quella senile “cultura azionista” che si va rivelando del tutto inadatta a leggere e ad affrontare le sfide terribili che i nostri tempi tormentati ci stanno mettendo innanzi. E che, unica, esiste vivissima un’altra cultura popolare, radicata nel territorio, e riformista che può agevolmente superare la cultura della paura che dilaga e restituire al Paese una ragionatissima speranza. A partire dal Nord.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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