Chi ha il coraggio di fare disobbedienza fiscale?

11 Marzo 2020
Lettura 2 min

di RICCARDO POZZI* –  Intendiamoci,  siamo tutti delusi e amareggiati per come, in trent’anni,  sia andata a finire la questione settentrionale.  Abbiamo tutti la coscienza lacerata dai mille tradimenti, da legislature trascorse nella più completa inutilità, più di un quarto di secolo sprecato a credere che  il sistema  si potesse riformare dal di dentro.

Occorrerebbe tuttavia un piccolo atto di onestà intellettuale per ricordare una verità amara quanto inequivocabile: la condizione politica del nord è diretta  conseguenza del comportamento politico dei suoi abitanti.

Inutile svenarsi e farsi venire le canne alla gola, i lombardi sanno che vengono depredati di 56 miliardi l’anno, i veneti e gli emiliani di altri 40 , ma il vecchio referendum sul federalismo fu perso miseramente e le associazioni di impresa  di tutto il nord soffrono di orticaria al solo  sentir parlare di autonomia.

Allora, forse, dopo tanti tentativi abortiti, vale la pena di buttare sul tavolo una vecchia, vecchissima idea liberale, quella della disubbidienza civile, magari non istituzionalmente cervellotica come quella di Borghi Aquilini, ma probabilmente più percorribile sia pure in via del tutto ipotetica.

I lavoratori dipendenti sono in gabbia, per il sistema del sostituto d’imposta,  ma cosa succederebbe se il milione e duecentomila partite iva, attive in  Lombardia e Veneto, (saltando l’Emilia per non sforare nella fantascienza) decidessero contemporaneamente di saltare a piè pari gli acconti IRPEF, IRES, IRAP e  INPS  di maggio e novembre?

Il meccanismo dell’autotassazione lo consente, prevedendo non una sanzione ma  una sovrattassa  dovuta al ravvedimento  posticipato (ogni sciopero ha un costo).

Riuscirebbe lo stato a far fronte al mancato introito senza contraccolpi?

A quanto potrebbe ammontare il temporaneo ammanco e cosa metterebbe in campo il fisco se la legittima opzione di mancato pagamento degli acconti, l’anno successivo, si allargasse ad altri contribuenti e  altre regioni con altre dilazioni in massa delle imposte? Sappiamo tutti che, per esempio,  nessuna azienda petrolifera resisterebbe se i suoi clienti abituali disertassero le pompe per due mesi, come nessuna banca potrebbe evitare il fallimento se la metà dei correntisti pretendesse i propri risparmi nel giro di poche settimane.

Conosco le obiezioni. Lo Stato qui è forte e decreterebbe alla velocità della luce per drenare dal risparmio (Poste) ciò che manca alla fiscalità, perseguendo nello stesso tempo  i ”colpevoli” della protesta impropria e organizzata.

Possibile.  Ma se non fosse così? Se il coccodrillo fosse più debole di quanto vuol far credere? Se bastasse l’azione di un milione di illuminati che chiude  l’ossigeno per pochi minuti a  mandarlo in coma?

Ecco, forse ancora più dei referendum consultivi, più delle rabbiose quanto isolate uscite autonomiste di poche minoranze, più della fiducia  politica che oggi, chi ha a cuore le istanze di giustizia territoriale, onestamente non  saprebbe a chi rivolgere, sopra a tutto non dobbiamo scordare che il cibo primario, il carburante indispensabile di cui questo stato oppressivo e vessatore  si nutre è il denaro delle nostre tasse.

Niente preoccupa Roma più del denaro.

Ma per mettere in piedi una coordinata, organizzata, razionale e decisa protesta fiscale occorrono  doti poco coltivate  in Padania: il coraggio e la coscienza di popolo. Servono attributi  molto rari e soprattutto la volontà, di chi ci rappresenta,  di assumersi la responsabilità politica e mediatica di una simile iniziativa.

Nella mia trascurabile opinione resiste, però, ostinata  una domanda: quanti padani seguirebbero una così civile azione di protesta  e  quanti si metterebbero in coda  per pagare,  mandando avanti gli altri? La risposta a questa domanda è quella che continua a rassicurare i nemici del nord.

Riccardo Pozzi*, lettore quotidiano lanuovapadania.it

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