Volontè e Morricone. Un capolavoro al di sopra di ogni sospetto

23 Agosto 2020
Lettura 2 min

di Matteo Ferrario – Un poliziotto, capo della squadra omicidi, uccide la propria amante senza un evidente motivo e viene messo a capo della stessa indagine.

Per lui sarebbe facile dimostrare la propria innocenza ma forse egli vuole dimostrare ben altro.

Abbastanza recentemente ho letto un interessante libro, scritto da un mio docente, per sostenere un esame: “Beat by beat” di Franco Fraternale, nel quale si spiegava che la struttura di un film, ma in realtà di ogni scena di un film, è caratterizzata da un conflitto drammatico nel quale il protagonista cerca di ottenere qualcosa e deve sormontare gli ostacoli che si frappongono tra lui e il suo obbiettivo per poi riuscire o non riuscire nel suo intento.

È questo l’aspetto più interessante di questo capolavoro a mio avviso: non è immune da questo meccanismo ma, per certi versi, lo usa in maniera molto originale, infatti è il protagonista che si crea gli ostacoli da sormontare e, alle volte, fa addirittura di tutto per non evitarli e ci impatta contro di proposito.

È lui che tira le redini insomma, tutto potrebbe risolversi nel giro di poco o niente, eppure egli decide di portare avanti la vicenda e in maniera tutt’altro che scontata per di più.

L’opera, dalle evidenti intenzioni politiche, è una critica ai modi di agire, spesso non proprio gentili, della polizia in quegli anni ma anche un’attenta riflessione del rapporto tra uomo di legge e potere politico e ha una tale efficacia che all’epoca la pellicola rischiò il sequestro.

L’essenza delle forze dell’ordine è concentrata nel protagonista, “Il dottore”, interpretato da un Volontè non bravo ma perfetto che, fin dall’inizio, non fa altro che mettersi sotto i riflettori lasciando in giro indizi sulla propria colpevolezza per dimostrare di essere “al di sopra di ogni sospetto”.

Ma egli non vuole dimostrare agli altri di esserlo, per loro lo è già: vuole dimostrarlo a se stesso.

Non è per gelosia (almeno non solo) che commette il fatto ma proprio perché la sua autostima (e quindi la sua autorità) vacilla e lui deve ristabilire quello che ritiene essere l’ordine naturale e lecito delle cose.

Nonostante ciò è facile provare empatia verso di lui perché è umano: è forte ma a volte debole, è deciso ma a volte esita, è intelligente ma anche semplice.

Gli altri personaggi sono molto meno (se non per niente) caratterizzati ma la cosa non disturba perché, in fondo, l’unico di cui ci interessa è lui e perché gli attori (dalla Bolkan fino alle comparse) sono comunque perfettamente credibili e ben collocati.

Il finale poi!

Per non anticipare nulla mi limito a scrivere che è un finale che punta, più che sul prendere una posizione, sul far prendere una posizione allo spettatore: uno di quei finali che in pochi sanno rendere in maniera così efficace.

Che ci si trovi o meno d’accordo col contenuto è comunque innegabile che il tutto sia raccontato in maniera magistrale e coinvolgente e che il film è sia un’importate testimonianza di come erano (o di come venivano percepite) certe cose in quegli anni.

Una nota di merito va alla colonna sonora composta da Ennio Morricone (tra le più belle da lui realizzate) morto di recente all’età di quasi 92 anni.

Considerando il talento, la bravura e il contributo che, nonostante l’età, il maestro continuava a dare al cinema mondiale credo si possa affermare che è comunque morto troppo presto.

Visione più che consigliata, raccomandata.

Critica:5

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