Dopo 669 giorni dietro le sbarre Patrick ZAKI potrà lasciare il carcere, ma la sua vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa. Anzi, gli attivisti chiedono di usare “un cauto ottimismo”. L’accusa di diffusione di false notizie nel Paese e all’estero non è decaduta, e la Corte della seconda divisione del Tribunale di Emergenza per i reati minori di Mansoura – nel nord del Paese – ha stabilito di aggiornarsi l’1 febbraio prossimo. La buona notizia è che il ricercatore, dopo un’infinità di udienze in cui la carcerazione preventiva nel carcere di massima sicurezza di Tora al Cairo veniva regolarmente rinnovata, potrà tornare a casa e riabbracciare la fidanzata, i genitori e la sorella Marise, trascorrendo con amici e parenti questo Natale. La cattiva, è che ZAKI rischia ancora il carcere, inoltre troppe incognite pesano su un procedimento che secondo i difensori per i diritti umani non dovrebbe proprio svolgersi. Primo, perché lo studente è a processo per aver esercitato la libera manifestazione del pensiero, un diritto che la Costituzione egiziana salvaguarda. ZAKI è infatti “reo” di un articolo pubblicato su un sito web nel 2019 in cui denunciava abusi, molestie e violenze di cui è vittima la minoranza a cui lui stesso appartiene, quella copto-cristiana. Secondo, perché la sua vicenda giudiziaria è segnata da varie irregolarità, a partire dalla questione del sequestro di cui sarebbe stato vittima. Stando alla famiglia, ZAKI è stato arrestato dagli agenti della National security agency – i servizi segreti egiziani – all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio del 2020. Lo studente, iscritto al primo anno di un master europeo presso l’università ‘Alma Mater Studiorum’ di Bologna, stava rientrando per una breve vacanza dopo aver terminato la sessione invernale degli esami. Nei verbali ufficiali risulta invece che l’arresto è avvenuto l’8 febbraio a Mansoura, ossia il giorno dopo, nella sua città d’origine. Dove è stato Patrick nel lasso di tempo tra l’atterraggio dell’aereo e la detenzione a Mansoura? Per i suoi legali, nelle mani dell’Nsa, che è anche accusata di averlo percosso e usato l’elettroshock durante il primo interrogatorio.
Per Zaki dopo 669 giorni la partita non è chiusa
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