La differenza tra un piccolo e un grande nord, anche senza il Messia

23 Dicembre 2020
Lettura 8 min

di STEFANIA PIAZZO – Al Nord c’è un vuoto di potere. Che non significa assenza di poltrone. Quelle ci sono e ci saranno sempre.  E’ un vuoto politico, di significato e di progetto, il vuoto che affligge il Nord.   Ciò che è stato non torna più, è affidato al giudizio della storia.   Cosa resta?

I CITTADINI TRADITI DALLA POLITICA 
I cittadini reagiscono con l’abbandono del voto. La gente si sente tradita. E si rassegna perché rassegnazione significa aver abbassato l’insegna, cioè la propria bandiera.

A parlare di  tradimenti la memoria porta a Dante,  al nono cerchio dell’Inferno, nel lago ghiacciato dove è intrappolato Lucifero che, non a caso, rimastica di continuo Bruto, Cassio e Giuda. Il figlio, l’amico, il discepolo. Tre gradi di relazione sommersi dal ghiaccio e dal vento gelido mosso dalle ali del signore degli inferi.

POPULISMO, LA FALSA SPERANZA

I partiti sembrano la brutta copia del nazionalsocialismo dal quale hanno preso il peggio, la schiuma. Nell’est dell’Europa era così, se non ti allineavi venivi epurato. E finivi nel Gulag, vittima di bugie e complotti ad arte.

La slealtà è profonda e reciproca nel mondo della bugia, che prende le sembianze del populismo, che promette sapendo di non mantenere. Viviamo nell’era del virtuale, del consenso mediatico che contagia il vertice, che cade a cascata sulla base, contaminando in orizzontale la comunità. Tutti credono alle false speranze.

TUTTI CONTRO TUTTI, LA FINE DEI RAPPORTI UMANI
Non lo avevamo forse appreso con Arcipelago Gulag, del Premio Nobel Solgenitsin, della distruzione dei rapporti umani? Non è solo il mentire, ma il mentire a se stessi il grado più degradante della menzogna.
Dovrebbe insegnare qualcosa la riscoperta di un’opera minore, si fa per dire, di Brecht, Der Spitzel. Il traditore. E’  colui che svende, vende, baratta, è il figlio che, imbevuto senza senno della ideologia vincente, denuncia il padre e la madre. Sta dalla parte del più forte. Del centralismo, del nazionalismo.  Il Nord è svenduto.

 NORD SFRUTTATO DAL NORD

Il Nord è per il centralismo una risorsa da sfruttare, come la sua gente, immensamente silenziosa e curva quando lavora.  Al Nord si dissoda la terra  con la vanga, dopo ogni colpo la schiena torna diritta e lo sguardo è rivolto avanti, alla ricerca della libertà, sulle proprie gambe.

Il Nord che non ha rappresentanza politica deve difendersi da chi eletto al Nord cura gli interessi di chi usa la zappa, di chi lavora e vuole fare politica con la schiena piegata davanti a qualcosa, in segno di sudditanza. Non è la postura del Nord.

RIPRENDERE IL CAMMINO, NORD FEDERALISTA IN EUROPA

“Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini”. Lo avevano capito all’Assemblea costituente quando un meridionale, Arturo Carlo Jemolo, storico del Risorgimento, affermò che “Accanto alle regioni geograficamente e storicamente determinate – si legge nella relazione di mezzo secolo fa sul “Problema della regione” all’Assemblea costituente della II sottocommissione  – esistono raggruppamenti che aspirano ad una propria individualità e offrono una tenace resistenza alla loro incorporazione in piú vaste aggregazioni territoriali”.

LA COSTITUZIONE LO PREVEDE: NORD LIBERO

Jemolo, alla vigilia del ’46, prima della Costituente, pubblicava il librettino “Che  cos’è la Costituzione”. L’ultimo paragrafo s’intitola ”Pensare, studiare, avere idee chiare’”.

Leggiamo: «Aver fiducia negli uomini che saranno eletti…  è bene; ma non sarebbe saggio rimettersi completamente al loro valore, senza aver prima considerato e studiato ogni singolo problema; ogni legislatore dev’essere guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo». Sì. La coscienza del popolo è la guida di ogni riforma.

Non consideriamo lo Stato una nuova forma di religione, con la sua burocrazia e il potere dei parassiti da difendere, con chi ha il potere.

MIGLIO, CAMBIERA’ IL PAESAGGIO POLITICO, PRIMA O POI

Scriveva Miglio che  “Declineranno, una dopo l’altra, tutte le grandi strutture istituzionali che hanno caratterizzato, nel corso dei secoli, il nostro paesaggio politico”.

“I popoli liberi – scriveva Miglio in “Disobbedienza civile” – sono quelli che si permettono ogni tanto di ribellarsi: che non temono di impugnare le decisioni del loro governo, ma che tornano poi ogni volta a rifondare, con più solida persuasione, l’ordinamento in cui vivono».

TASSE, RIBELLARSI AL DISPOTISMO

E così la Dichiarazione d’indipendenza – Americana (!): «Ma quando una lunga serie di abusi e usurpazioni, invariabilmente diretti allo stesso oggetto, svela il disegno di assoggettarli ad un duro dispotismo, è loro dovere abbattere un tale governo e procurarsi nuove garanzie per la loro sicurezza futura»

Oggi il patto fiscale si è rotto da Nord a Sud, il fordismo tradizionale è finito, e il lavoro autonomo non sa più quale sia la rappresentanza che lo rappresenta. La delega un tempo ai vecchi partiti e a quelli che si dicevano nostri liberatori, oggi è alla ricerca  di una casa comune.

SPERANZE MESSIANICHE SI AGGIRANO SUI SOCIAL

Chi invece rappresenta la democrazia elettiva, anzi, dei nominati, forma gruppi dominanti, da una parte o dall’altra. Non servono più delle élites, nel senso di persone che sono in grado di essere classe dirigente, bastano dei buoni comunicatori, affiancati da web master e specialisti di social network per spacciare il populismo informatico in democrazia. Peggio, in rappresentanza. Speranze messianiche si aggirano su twitter e facebook, sui manifesti e nelle sfilate in piazza.

De Benoist parla non a torto di una “nuova classe politico-mediatica, che unisce, all’interno di una medesima situazione elitaria di potere e di apparenza, dirigenti politici, uomini d’affari e rappresentanti dei media, tutti intimamente legati gli uni agli altri, tutti convinti della pericolosità delle aspirazioni popolari”. Quindi il populismo le controlla e le dirige. Una volta si era capitalisti o anticapitalisti, iperliberisti o statalisti.

Oggi non esiste più l’operaio ma neanche il ceto medio. Esiste lo straniero e il nominato. Nel mezzo ci stanno miriadi di professionisti, artigiani, in progressiva infartuazione del lavoro. L’ictus sociale. Ex lavoratori, ex pensionati. Più che di indecisi, occorrerebbe formulare la categoria dei sopravvissuti del Nord.

CHI RAZZOLA NEL LETAMAIO DEL RE?

Lo ammise pure Cattaneo dopo le 5 Giornate: “Al primo levar del sole tutta la mia nidiata è corsa a razzolar nel letamaio del re”.

Lo aveva capito già Cattaneo: “Il nemico nostro più formidabile non è Radetzky”.

La scuola non ci ricorda l’invocazione contro l’eroe del Risorgimento: “Prina deve morire”. Nel 1814 a Milano si consuma la  prima rivolta antitasse in Italia, anzi, a Milano. Il Nord era   soggiogato ai satrapi francesi, premessa di una più ampia e lunga sottomissione fiscale. “Fin dagli albori del Regno d’Italia – racconta Bracalini nel suo resoconto storico, “il fisco infieriva soprattutto sui ceti più poveri… in nome del pareggio di bilancio”. Storie di tutti i giorni, possiamo dire.

IL DINAMISMO OCCULTATO DEL NORD

La tassazione “è una forma di dominio, una nuova forma di schiavitù moderna. Nel 1814 la rivolta antitasse decretò la fine del Regno Italico.  Si viveva come scriveva il Porta: “Libertè, egalitè, fraternitè,  fransè in carozza, i milanes a pè”.

Diceva lo storico Giorgio Rumi al quotidiano la Padania: “Ma lo si vuol capire o no che l’Italia non può essere considerata una camicia di forza (…). Tutto va bene, a patto che la risposta alla questione settentrionale del Nord sia politica (…). Basta che si diano una mossa”.

“…per parlare di una Questione Settentrionale, cioè dello sbilanciamento nello sviluppo fra le due aree e la consueta penalizzazione del dinamismo del Nord, che la storia ha creato e che la politica ha occultato”

LA SCUOLA DEL NORD

A COSTITUZIONE VIGENTE, sarebbe possibile alle regioni fare moltissimo, se non addirittura bloccare l’intero sistema, basterebbe chiedere – e le regioni lo possono fare:

  1. Attuazione titolo V della Costituzione (art.117) con passaggio alla Regione di tutto il potere organizzativo (1) sulla scuola. strategico
  2. Uguaglianza dei finanziamenti sia al settore pubblico che al parificato tramite dote alunno (buono scuola). strategico
  3. Assunzione locale del personale scolastico: a livello di distretto o di istituto o di consorzio di scuole. strategico.

In breve, NESSUNA forza politica ha mai chiesto la piena attuazione di quel poco di federalismo scolastico che la costituzione vigente pur contempla!

Rilancio, allora, e chiedo, a chi vuole aprire un dibattito: si può essere indipendentisti o anche semplicemente autonomisti e federalisti, e disinteressarsi di scuola, istruzione e università, cioè dei luoghi dove si educano le nuove generazioni e si conserva o si distrugge l’identità?

DECIDERE IL FISCO

La questione è sacrosanta. La prima ragione è che in Svizzera i cittadini si alzano e si abbassano le tasse a suon di referendum. In Italia decide il Trattato di Maastricht e il patto di stabilità. Cioè più tasse per pareggiare i conti di chi non sa governare. Seconda ragione: votare in materia tributaria è un diritto, così come esprimersi in politica internazionale. In Italia si va ai summit e decidono gli altri.

La terza e ultima ragione è che la Costituzione più bella del mondo non è così democratica come vogliono farci credere. Se sulle nostre tasche decidono altri, qualcosa non funziona. Invece gli zurighesi hanno voluto aumentare gli incassi locali per avere più servizi aumentandosi le tasse del parcheggio Raggiunto lo scopo, costruire una strada, una scuola, le tasse possono anche scendere e cittadini lo impongono a chi governa.

IL NORD PAGA I TERREMOTI DI 40 ANNI FA

Paghiamo ancora i terremoti di 40 anni fa. L’Abissinia, la guerra in Libia. Le missioni di pace. Grazie alla Costituzione più bella del mondo, che decide in materia tributaria in modo arbitrario come e dove la politica deve mangiare. In Svizzera lo decide la democrazia diretta.

LA DIFFERENZA TRA UN PICCOLO E UN GRANDE NORD

Scrive Ernst Junger che viviamo in  dittatura democratica che è democrazia apparente.

“Quando la tirannide dei partiti o di stranieri conquistatori opprime la terra, a destarsi è l’antica, sostanziale, elementare libertà. Ed è una libertà che fa sua la lotta. La resistenza del ribelle è allora assoluta…  Ci si aspetta dunque dal Singolo un grande coraggio. Ci si aspetta che lui da solo agisca in aiuto del diritto anche contro la potenza dello Stato. Si dubiterà che esistano tali uomini … ma essi emergeranno, e saranno appunto i ribell… Tra il grigio delle pecore stanno i lupi, coloro che non hanno dimenticato che cos’è la libertà”.

Nei momenti bui, “quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce non per i perseguitati bensì per i persecutori, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che ancora non si è piegato”.

E’ la responsabilità che si assume il Nord, perché  “il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà”. Questo è il punto cruciale: chi è disposto a lottare per la libertà? Non è forse vero che la maggioranza dei  cittadini, soprattutto al Nord, sono attanagliati dalla paura e così preferiscono demandare funzioni allo Stato o ai partiti sedicenti liberi in cambio di sicurezza?

Una terra che vuole tornare  a contare non può non interrogarsi, come si chiede lo scrittore mantovano Riccardo Pozzi, questo: Da lombardo che lavora da trentacinque anni, ogni anno  verso  più di 5.000 euro di residuo fiscale a un mio fratello del Sud che non ho mai visto e non ho mai conosciuto. Ormai sono arrivato a  175.000 euro totali e alla fine della mia vita lavorativa arriverò, vicino ai settant’anni, ad avergli mandato oltre 235.000 euro.

Vengono chiamati solidarietà nazionale o perequazione interregionale per lo sviluppo territoriale.

Ma la domanda  che non mi va giù è la seguente:  visto che lo sviluppo territoriale continua a non esserci, a cosa sono serviti i miei soldi?”.

Questo fa la differenza tra un piccolo e un grande nord.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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