di Stefania Piazzo – E’ anche colpa nostra se la professione è arrivata al capolinea, perché il giornalismo è diventato sempre più sciatto, superficiale, improvvisato. Come per la teoria dell’estinzione dei dinosauri, la meteora che ha poi accelerato il processo è stato l’ideologico taglio dei contributi all’editoria. La politica si è illusa che il liberismo nell’informazione premiasse i migliori. Non è stato così. Non poteva essere così.
Così come ora ci si sta disilludendo che la globalizzazione potesse diffondere maggior benessere per tutti. Non è stato così. Nell’editoria si è tolto l’ossigeno di un diritto costituzionale, quello dell’informazione libera (che ha dei costi suppletivi, come il diritto alla salute nel sistema sanitario nazionale, tanto per capirci), mentre i social dilagavano spoilerando a costo zero tutte le informazioni senza bisogno di farle pagare. Il nostro lavoro è diventato un bene da non retribuire o da pagare sempre meno fino a poterlo sostituire dall’intelligenza artificiale. Quadratura del cerchio, resta un hobby scrivere.
E’ notizia dei giorni scorsi la chiusura di una redazione anche a Milano di un importante network legato ad un colosso, che ha sostituito i giornalisti alla cosiddetta AI. Siamo all’inizio della valanga.
Oggi stiamo facendo i conti con un crescente tasso di analfabetizzazione della popolazione. Intanto a scuola non si deve più bocciare nessuno, agli esami di riparazione se non li passi, resti promosso comunque e parti con un debito che è come un vezzo… Non sappiamo più scrivere, la storia non è contemplata come formativa, la geografia è sostituita da waze e google maps. Le lauree brevi sono una barzelletta, i quiz in tv svelano la totale scomparsa della cosiddetta “cultura generale” anche nei cosiddetti laureati… Il Po è il lago più grande d’Italia è una delle ultime affermazioni geografiche rivelate al popolo televisivo serale.
Ma niente paura, per fortuna verrà in nostro soccorso nel redarre articoli e informarci qualcuno che sa scrivere e attinge dagli archivi già scritti della rete. Una “Treccani” digitale fornirà tutte le risposte e ragionerà al nostro posto.
Intanto l’Ordine dei giornalisti sembra sempre più un sistema incapace di arginare lo tsunami. L’ente previdenziale giornalistico è stato assorbito dall’Inps (ma è accaduto anche per altri enti, schiacciati dalle uscite previdenziali superiori alle entrate non più garantite dal crollo degli iscritti e cioè dei lavoratori attivi). La cassa mutua professionale, fiore all’occhiello della categoria, ha dovuto aprire anche al mondo esterno delle professioni per resistere e conservare un bene assoluto come la salute… E via discorrendo.
Nei giorni scorsi ho visto il film di Maccio Capatonda, “Il migliore dei mondi”, parodia dell’alienazione da tecnologia. Un salto temporale causato da un guasto elettrico lo catapulta appena dopo l’annunciato millenium bag, che effettivamente si consuma. La tecnologia è quella dei primi telefonini, del Nokia 3310, delle stampanti ad ago con i fogli bucherellati a lato. Dei modem che si portavano a riparare, dei navigatori ancora inesistenti, delle cartine stradali cartacee per orientare la guida e dell’assenza dei sensori di parcheggio. Il disastro quotidiano è inevitabile. Maccio non è più in grado di vivere nella manualità e nel ragionamento che impone di far da sè, senza la bulimia della tecnologia che sostituisce le nostre azioni. Non serve fare, pensare, ci sono Alexa, lo smartphone e le app che regolano la vita quotidiana illudendoci di essere più indipendenti, superiori, evoluti.
E’ quello che esploderà con l’intelligenza artificiale. I posti di lavoro saranno ridotti o spariranno in molte attività perché sostituite da chi a costi drasticamente più convenienti, produrrà un prodotto simile, magari anche migliore sotto certi punti di vista. Non sarà possibile distinguere tra il vero e il vero “costruito” da una macchina.
Nessuna norma sta tutelando o mettendo un perimetro al dilagare della nuova globalizzazione digitale, che è la sfida vera. Prima si delocalizzava per pagare meno tasse, ora si delocalizza il cervello per la stessa ragione. Questa non è una sfida a fare meglio, ad aumentare la qualità umana, artigianale, del lavoro intellettuale, è una guerra tra due mondi, ancora una volta ad armi dispari. E la perderemo.
Nel nostro caso, basterebbe mettere come criterio universale una semplice regola, per valutare se il supervisore “giornalistico” di un giornale dell’intelligenza artificiale è all’altezza del ruolo che ricopre.
Metterlo assieme a 700 altri colleghi, come accadeva a noi dinosauri all’esame di Stato, in una sala con altrettante macchine da scrivere. E mettere giù un servizio, una inchiesta, in tre ore, senza poter fare taglia e incolla, dimostrando di essere in grado di avere un ordine logico in testa, saper fare sintesi e non fare errori di sintassi, di grammatica. Tu, i tasti, un foglio bianco e il tempo, inesorabile, per raccontare un fatto. Senza telefonino e internet. Dimostrare di saper scrivere, se è vero che la scrittura fa iniziare la storia dell’uomo, che ci fa abbandonare la preistoria.
Questo era il giornalismo, sopportare gli stress, essere capaci di avere una visione d’insieme in pochi minuti, in pochi secondi, con mezzi di fortuna, nel caos del rumore, della concitazione, delle emozioni, con un certo bagaglio tecnico e culturale. Occorrerebbe saper dimostrare che si è in grado di battere ancora un pezzo a macchina e mandare in tipografia quel foglio mentre il giornale è in chiusura, ribaltando un timone e spostando pezzi e pagine come un prestigiatore per far quadrare tutto, sul filo del rasoio. Tutto questo era un valore e aveva un costo. Oggi non lo è più, e non deve costare quasi niente. Le redazioni si possono chiudere ma se è per questo l’estinzione è già iniziata da tempo, l’editoria è stata tra le prime da più di un decennio a pagarne le spese e sarà la prima attività ad essere spazzata via.
Chi ha ancora un contratto, se lo tenga stretto, ma pensi anche a fare un corso da idraulico, da assistente alla poltrona, da oss o da asa per garantirsi un futuro. I pannolini saranno la nostra zattera.
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