Insurrezione antivaccino blocca il Canada. Presto in Occidente la rivoluzione dei “senza denti” in cerca di partito

3 Febbraio 2022
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di Luigi Basso – Poche ore fa, il Caucus del Partito Conservatore canadese, il contenitore di centrodestra nordamericano che aveva federato i movimenti populisti con quelli liberali e conservatori, ha defenestrato con una netta maggioranza di 73 voti contro 45 Erin O’Toole, il leader che aveva perso per un soffio le elezioni politiche svoltesi in autunno.
La ragione del siluramento non è da ricercarsi nel risultato elettorale ottenuto contro il Premier Trudeau: infatti il Partito Conservatore non era andato male, ottenendo più voti del partito del Primo Ministro, ma aveva perso solo per via della distribuzione dei seggi in senso maggioritario.
In ogni caso Trudeau era un premier azzoppato poiché aveva dovuto dare vita ad un traballante governo di minoranza.


Le ragioni della caduta di O’Toole sono tutte politiche: il leader conservatore aveva infatti iniziato (in solitaria) un processo di spostamento dell’asse del Partito Conservatore verso posizioni centriste, se non addirittura progressiste, alienandosi l’appoggio e le simpatie di buona parte del centrodestra canadese.


La goccia che ha fatto traboccare il vaso, o più correttamente: il casus belli che ha fatto deflagrare la protesta interna, è stato l’atteggiamento tiepido, per non dire poco amichevole, del leader Conservatore verso l’insurrezione dei camionisti nordamericani contro gli obblighi vaccinali e le misure sanitarie draconiane del Governo, misure talmente dure da essere paragonabili, nel Mondo, solo a quelle adottate in Australia ed in Italia.


I moti stanno paralizzando da giorni il Canada, la capitale e le principali arterie stradali sulle quali viaggiano gli affari ed i commerci del Nord America.
Per capire la gravità dell’insurrezione basti dire che Trudeau, premier di uno dei Paesi del G7, si è dovuto rifugiare in una località segreta.


Solo in Italia ed in pochi altri Paesi nel Mondo la questione è sostanzialmente taciuta dalla grande stampa, ma questo è un altro discorso.


Tornando al leader conservatore canadese, mentre molti esponenti del suo partito simpatizzavano con gli insorti, lui prendeva le distanze e tale atteggiamento gli è stato fatale.
La componente del centrodestra più radicale – si potrebbe dire trumpiana per dare un’idea immediata del programma al quale si ispira – ha preso il sopravvento in Canada.
Più in generale, va detto che in tutto il Mondo si vede in maniera plastica la lotta tra le due anime del centrodestra – quella populista / trumpiana e quella conservatrice classica o moderata.


Basti pensare alla Francia (Pècresse da un lato e Zemmour dall’altro), solo per fare un esempio vicino.
L’Italia è molto più indietro in questo processo: la Lega di Salvini, che si era candidata al ruolo di partito populista trumpiano italiano, ha imboccato la strada del conservatorismo classico del secolo scorso, sotto la guida del leader di fatto, Giorgetti, ed oggi i populisti devono affollare le piazze per farsi sentire, non avendo una rappresentanza partitica.
Il finale è già scritto.


La fazione populista / trumpiana è destinata a prevalere in tutti i centrodestra, come accaduto in Nord America: solo tale fazione, infatti, interpreta e vuole dare voce agli interessi del ceto sociale emergente, destinato a maturare una coscienza di classe (tale processo, in realtà, in Nordamerica è già molto avanzato), un ceto sociale immenso.


Tale classe sociale nuova è quella che una volta Hollande chiamò con disprezzo i “sans dents”, gli sdentati, coloro che una volta erano “ceto medio” e che oggi, pur continuando a lavorare, non possono permettersi neppure le spese per le cure dentistiche.


Per capire ciò che è già accaduto in Occidente occorre fare un passo indietro.
Dopo la seconda guerra mondiale, i partiti della sinistra occidentale diedero rappresentanza politica ai ceti dei lavoratori meno abbienti, agli “sfruttati dai padroni”, in primis operai e piccoli impiegati, mentre il centrodestra diede voce al ceto medio fatto di lavoratori autonomi, artigiani, professionisti, medi impiegati, funzionari e dirigenti.


Lo schema ha retto fino alla caduta del muro di Berlino ed alla (di poco successiva) nascita dell’UE.
Il ceto medio ha iniziato a sgretolarsi, a svuotarsi verso il basso ed il ceto dei “sans dents” ha iniziato a ingrossare le fila: per fare un esempio, oggi, il 90% dei nuovi assunti è a tempo determinato, con contratti da poche centinaia di euro al mese, giusto quello che basta per pagare affitto, bollette e spesa alimentare nei discount.


I partiti di sinistra un po’ per necessità (infatti gli operai ed i piccoli impiegati negli anni ’80 erano diventati ceto medio ed avevano iniziato ad abbandonarla per dirigersi verso nuove proposte politiche: la Lega Nord non a caso, conquistava le Stalingrado d’Italia) un po’ per maggiore acume politico – avendo letto e studiato Marx – si sono presto riposizionati: sono velocemente passati a fare gli interessi della media e grande borghesia, delle banche, assicurazioni.


Questa parabola è plasticamente rappresentata dal voto politico nella città di Roma: la sinistra vince senza avversari ai Parioli e perde drammaticamente nelle periferie disagiate, dove vivono i “sans dents”.
Il centrodestra, che non conosce Marx, è rimasto per trent’anni fermo, cullandosi nel conio di nuove sigle e slogan, di disaggregazioni e nuove aggregazioni fatte sempre dalle stesse persone (si veda alla voce PDL).


Trump, per primo, ha visto nascere e crescere un nuovo ceto, senza rappresentanza politica, quello degli ex borghesi, dei “sans dents” ed ha capito che il centrodestra, se si fosse ostinato a rappresentare l’inesistente ceto medio, sarebbe scomparso: infatti gli ex borghesi, i “sans dents”, preferiscono non votare piuttosto che dare voce a partiti “vecchi”, fuori dal mondo, con una dirigenza politica senile in preda a deliri, che parla di ricostruire “il centro”, “la casa dei moderati”, “il partito popolare europeista e liberale”, senza neanche sapere che sociologicamente questo “centro” non rappresenterebbe nulla.


In Francia, Zemmour è destinato – se non ora, alle prossime elezioni – a prevalere nel centrodestra e poi in generale, poiché la Pècresse rappresenta un partito vecchio, con una base sociale sorpassata e fuori dalla storia.


La Le Pen si è messa fuori gioco da sola, poiché, non leggendo Marx, non ha neppure compreso le ragioni del suo successo (credeva che la votassero per l’ebbrezza del tricolore francese e per l’emozione di cantare insieme la Marseillaise, cioè per il sovranismo) ed ha commesso l’errore fatale di pensare di tenere il voto dei “sans dents” pur facendo la svolta moderata: ha perso i voti dei sans dents e non ha coinquistato quelli moderati.
La gente la votava perché era populista.


In Italia, la Lega di Salvini ha percorso la stessa parabola della Le Pen, anzi l’ha anticipata ed ha difatti dimezzato i propri consensi (e continuerà a calare): la dirigenza leghista, come la pulzella di Francia, non ha compreso il motivo del successo elettorale, che non era il sovranismo italico col tricolore al vento e gli ammiccamenti all’estrema destra, ma il populismo.


Ovvero, il “popolino” si sentiva sinceramente rappresentato da Salvini e gli perdonava persino giravolte che avrebbero incenerito il consenso di qualunque altro politico: oggi ha capito che è stato tradito e si è ritrovato Draghi al Governo.
Anche Salvini si è fatto goal nella sua porta.
In Italia manca solo un Zemmour per dare voce al nuovo ceto emergente che, per ora, sta in piazza.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
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