Referendum e regionali. Riecco le 3 Italie

22 Settembre 2020
Lettura 2 min

di Sergio Bianchini – Il dominio dello schema analitico basato sul destra sinistra non consente di cogliere le dinamiche in atto sia nell’opinione pubblica che nel sistema nervoso ed osseo del paese.

La sfiducia nella politica domina incontrastata seppure con retropensieri in tutto il paese come ben chiarisce l’esito del referendum. E lo scoraggiamento derivante proprio da quella sfiducia e dalla mancanza di prospettive fa comparire, ancora e sempre, la struttura profonda dell’Italia. La solita Italia, una e trina.

Tre regioni infatti svettano nel panorama elettorale smentendo tutte le previsioni.

Il nord con Zaia che triplica i voti della Lega, il Centro con la Toscana che non depone dal trono la sua classe dirigente antica e il sud che dopo varie turbolenze si unisce di nuovo intorno ad un campano DOC.

Tre Italie, piene di dubbi sul futuro e proprio per questo strette intorno all’uscio di casa.

Marche e Puglia sono corollari di questa situazione di fondo e la confermano. Sicuramente la storica alleanza del centro con il sud è rottadefinitivamente. La Toscana si compatta ma conferma la spinta Renziana che di quella rottura fu la prima grande manifestazione. La vittoria della Meloni nelle Marche è anch’essa un segno di svolta dove il centro italia si riposiziona su sè stesso e non sulla vecchia strategia meridionalista antinordista. La Puglia vibra e per ora sta ferma in attesa di tempi migliori.

Certo che Salvini è davvero finito.Una cosa sola a suo tempo lo lanciò in alto e fu la resistenza contro l’immigrazione illegale voluta da ampi settori dello stato. La sua lotta, seppure poco fondata su strategie efficaci, fu eroica, sincera e spettacolare e per un poco anche efficace. Ma alla lunga si sarebbe comunque indebolita perché incapace di introdurre ad esempio meccanismi forti di rimpatrio dei clandestini e metodologie di gestione sul nostro territorio davvero efficaci.

E così il paese torna ad essere, come prima e più di prima in “braghe di tela”.

E non si sentono e vedono segni di una comprensione più matura delle possibili vie d’uscita.

Il nord, dopo l’indigestione di nazional-meridionalismo generata da Salvini è in stato di schok. La Lombardia ha fatto pena nella gestione della sanità ed ha evidenziato la pochezza del gruppo dirigente leghista lombardo capace solo di vantare la propria invisibile grandezza.

Forse è proprio la Lombardia che deve riflettere di più su se stessa.

Personalmente non ho alcuna fiducia negli attuali livelli che dirigono regione Lombardia e comincio perfino a non credere più nel ruolo guida della Lombardia stessa incapace di mettersi alla testa della creazione di una macroregione nord.

E mi sono chiesto più volte dove sia finita la provincia di Brescia.

La seconda grande provincia lombarda è scomparsa dalla vita politica. Forse sarebbe ora di pensare ad una aggregazione di Brescia al Veneto. Cosa assolutamente possibile e con un percorso ben delineato nella costituzione attuale.

Il Veneto non vuole unirsi tout cout alla Lombardia dopo i decenni di prevaricazioni subite proprio in ambito leghista e le moltissime vicende della liga veneta schiacciata dai vertici leghisti lo spiegano per chi vuole intendere.

Allora forse si può pensare ad una adesione prima di Brescia alla regione Veneto e poi magari anche del bergamasco. Sarebbero linee di forza reali e con un grandioso passato storico. Avremmo una macroregione veneta con 7-8 milioni di abitanti, magari con capitale a Verona ed una compattezza culturale e politica di grande rilievo rispetto alla piattezza dell’attuale Lombardia.

Possiamo pensarci?

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