Perché i politici italiani mentono e negano l’evidenza?

11 Marzo 2020
Lettura 3 min

di Giuseppe Reguzzoni – Perché i politici mentono? Perché, come al letto di un paziente giunto ormai alla fine, i politici si ostinano a negare l’evidenza? Sì, certo, non tutti i politici mentono e, soprattutto, non sempre mentono, ma questo misto di verità e di menzogna è forse anche peggiore della menzogna aperta. Il tema non è nuovo, ma i potenti strumenti di comunicazione mediatica danno a queste domande antichissime un significato differente da quello del passato. Per secoli, la menzogna di massa si è confusa con la propaganda e, in modo particolare con l’indicare ai propri sudditi il nemico o il cattivo di turno. È ancora vero, ma oggi, la grande novità, consiste nel fatto che si mente anche ai “propri”, cittadini, elettori, sostenitori, in una proporzione che era sconosciuta ad altri tempi pure infelici. Lo sapeva perfettamente Adolf Hitler, che nel suo delirante Mein Kampf dice espressamente che, se devi mentire alle masse, devi mentire alla grande, deve trattarsi di una menzogna così grande a essere proprio per questo creduta. La menzogna è, difatti, la quintessenza di tutti i regimi totalitari, sia quelli vecchi maniera, come le dittature ideologiche del secolo scorso, sia quelli “soft”, caratteristici del sistema di disinformazione sistematica portato avanti dai poteri forti.

Un tentativo di riflessione sul significato e sulla portata della menzogna nella gestione della cosa pubblica si trova in un libretto di Alexandre Koyré, Sulla menzogna in politica, pubblicato da Lindau nel 2010 (64p. Eur. 9,50), ma uscito nell’originale francese a New York nel 1943. L’Autore, membro della resistenza francese, apparteneva infatti al movimento France Libre di De Gaulle e prende le mosse proprio dalla sconfitta e dall’occupazione nazista della Francia, negli anni più bui della Seconda Guerra Mondiale. «Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo». Con queste parole, che sembrano scritte oggi, inizia questa riflessione coraggiosa, che non affronta solo il tema, perenne, della menzogna, ma punta a sviscerare una delle radici ultime della perversione del Potere. Koyré riconosce, sin dalle prime righe, che «la menzogna è vecchia come il mondo», ma dichiara di volersi soffermare esclusivamente sulla «menzogna politica».

Di essa tratta, nella prima parte del volumetto, per passare poi, nella seconda, al sistema di potere chiuso («segreto») che gestisce i meccanismi di condizionamento nelle dittature classiche. E allora, soffermandoci soprattutto sul primo aspetto, come se volessimo raccogliere un mazzo di fiori da un campo proibito, riportiamo alcune citazioni dalle prime pagine di questo straordinario libretto, lasciando al Lettore il compito di applicarne il significato a questi nostri tempi.  «Non si è mai mentito così tanto … infatti, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, dei cumuli di menzogne si riversano sul mondo. I discorsi, gli scritti, i giornali, la radio … tutto il progresso tecnico è posto al servizio della menzogna. L’uomo moderno è immerso nella menzogna, respira la menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita (…) La menzogna moderna è fabbricata in serie e si rivolge alla massa. Così, se nulla è più raffinato della propaganda moderna, nulla è più grossolano del contenuto delle sue asserzioni, che rivelano un disprezzo assoluto e totale della verità».

La massa – perché il Potere vuole «masse», non popoli – «crede a tutto ciò che le sie dice. Purché glielo si dica con sufficiente insistenza. Purché si lusinghino le sue passioni, i suoi odi, le sue paure. Creder, obbedire e combattere – tale è il dovere della massa. Il pensiero è affare del capo». Eppure, anche in politica, la menzogna è un segno di debolezza, non di forza, forse in democrazia ancor più che nei sistemi apertamente totalitari. «La menzogna può essere un’arma. L’arma preferita dell’inferiore e del debole che, ingannando l’avversario, si vendica e ha la meglio su di lui».  «Ingannare significa anche umiliare e ciò spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi». La menzogna è comunque sempre un segno di disprezzo. Mentendoti, ti dico che per me non vali nulla, se non, al massimo, il tuo voto, di cui, per il momento, ho ancora bisogno, ma solo come un numero  da aggiungere a tanti altri. Anche per le dittature leggere – precisiamo noi – vale quello che Koyré scrive per i totalitarismi forti: «Nell’antropologia totalitaria l’uomo non è contraddistinto dal pensiero, dalla ragione, dal giudizio, proprio perché, secondo essa, la grande maggioranza degli uomini ne è priva». Se sostituiamo al generico «uomini», il termine «elettori», abbiamo la quintessenza della menzogna politica in democrazia, che è, poi, quel che certifica il fatto che le nostre democrazie sono solo «apparenti». Qui sta anche la risposta alla domanda da cui siamo partiti: perché i politici mentono? Mentono per debolezza, avendo comunque bisogno di garantirsi il consenso elettorale. Mentono per disprezzo, ritenendo utili i voti, ma inutili gli elettori. Già, proprio qui sta il punto più beffardo e più tragico: i politici mentono ai loro elettori, di cui pure hanno ancora in qualche modo bisogno, perché li disprezzano, ma in questo loro disprezzo sta la dimostrazione della loro debolezza e inutilità. All’interno dei sistemi totalitari – forti, come quelli ideologici del secolo XIX, o deboli come quello in cui stiamo rapidamente scivolando – che conta è il sistema, non la persona del politico. Quanto meno quest’ultima sarà carismatica, tanto essa risulterà assimilabile e ininfluente. Ma questo, del carisma personale, è un altro discorso, e il libretto di Koyré non lo affronta e, forse, nell’Europa devastata dalla Guerra neppure poteva affrontarlo.

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