di Gigi Cabrino – Da quando sono circolate le bozze della riforma Calderoli sulla cosiddetta “autonomia differenziata” la mia personale opinione è che di autonomia non si trattasse ma di una forma di decentramento più o meno benevolmente concesso dalle stato centrale alle regioni che ne facessero richiesta.
Il principio resta quello dello stato centrale che concede e non del territorio che trattiene per determinate funzioni quanto i cittadini e le imprese producono in termini di gettito fiscale.
Dopo aver letto l’esaustiva analisi del sen. Franco credo che il primo a non credere all’autonomia sia proprio il ministro Calderoli che ha scritto il testo di riforma.
Un testo scritto apposta per non vedere mai la sua realizzazione, a cominciare dai LEP che, per loro natura, non verranno mai definiti e stiamo parlando dell’elemento fondamentale su cui si fonderà l’eventuale trasferimento di competenze; oggettivamente impossibile definire una infinità di fattori su ogni competenza che dovranno essere uguali da Sondrio a Reggio Calabria; curioso, inoltre, il fatto che i LEP debbano essere definiti sulle materie concorrenti e non su quelle di esclusiva competenza dello stato.
Poco chiaro il passaggio della riforma che prevede la possibilità per lo Stato di richiedere alle regioni i soldi risparmiati con la gestione diretta di una funzione, se lo stato spende x per una servizio e la regione che ne ottenesse la competenza dovesse risparmiare l’eventuale differenza dovrebbe andare allo stato.
Grottesco, infine, l’art.8 nel suo aspetto messo in evidenza dal sen. Franco; le regioni che NON chiederanno alcuna forma di autonomia si vedranno riconosciuti trattamenti particolarmente vantaggiosi nei trasferimenti dallo stato centrale, quini sarà conveniente NON chiedere alcuna forma di autonomia.
Un testo di riforma utile a garantire a determinate scadenze, ad esempio prima di una tornata elettorale, una approvazione intermedia o un passaggio mediatico, ma destinato a non entrare mai in vigore; e , per dirla tutta, forse è meglio così , perché anziché semplificare la macchina amministrativa andrebbe a complicarla ulteriormente.
Ma forse i primi a non credere nell’autonomia sono i presidenti delle regioni del Nord, quasi tutti di centrodestra; se davvero ci credessero , al di là delle differenze di partito, si sarebbero da tempo riuniti, senza scomodare lunghe e complesse riforme costituzionali, e avrebbero definito un accordo chiaro in pochi punti in una-due pagine, con cui si impegnano a fare una politica comune nelle posizioni da mantenere nei confronti dello stato centrale.
Anzi, senza volere leggere nei pensieri dell’uno o dell’altro, forse il solo presidente disponibile ad una azione di questo tipo è l’emiliano Bonaccini, non certo di centrodestra e tantomeno leghista; non dobbiamo dimenticare che un accordo simile fu proposto dal sindaco piddino di Torino Lorusso l’indomani della sua elezione due anni fa; chiedeva un accordo con Milano e Genova ( il vecchio triangolo industriale) per una politica comune sui fondi PNNR e fu stoppato dal sindaco di Genova, giarda caso in quota lega.
Non sarebbe il massimo, sicuramente, ma forse in questo momento un accordo chiaro tra le regioni del Nord su posizioni comuni da mantenere nelle molte ed estenuanti trattative con Roma ( si pensi alle “maratone” dei negoziati che ogni anni si fanno sul riparto dei fondi per la sanità su cui l’abile De Luca più di una volta ha fregato le regioni del Nord a vantaggio della sua Campania e della sua sanità non certo d’eccellenza) sarebbe una prima via semplice ed immediata alla macroregione del Nord.