Autonomia differenziata? No, Castelli, è meglio una Costituzione federale

7 Ottobre 2020
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di Luigi Basso – Ho seguito con attenzione il convegno di Biassono che si è svolto di recente, al quale hanno partecipato eccellenti conferenzieri, sul tema dell’autonomia. Agli organizzatori va senz’altro il merito di aver riportato la questione autonomista al centro del dibattito pubblico, per anni ristretto agli addetti ai lavori. Quanto accaduto a Biassono è talmente importante da meritare un confronto. A mio avviso, lo dico senza giri di parole e con spirito collaborativo, l’importanza del convegno è stata sminuita dall’intervento di Roberto Castelli, poco costruttivo in una prospettiva futura autonomista. Gli errori che oserei definire “dottrinali” del “Castelli – pensiero” costituiscono la summa degli errori della Lega, non a caso finita a predicare un nazionalismo italiano molto estremista, ancora più a destra di Fratelli d’Italia, per dire.

La “brutta fine” della Lega non è stata casuale, ma è stata il frutto di questa clamorosa serie di nodi irrisolti sul piano concettuale. Cerco di spiegarmi. Castelli, in sintesi, ritiene che l’unica strada possibile per i movimenti autonomisti sia quella di accodarsi al percorso delle autonomie differenziate intrapreso da alcuni Governatori. Il punto è che seguire Castelli su questo punto equivale a far deragliare ogni tentativo di riprendere il discorso autonomista. Infatti le autonomie differenziate propugnate da alcuni Governatori (pochi, in realtà, non più di 2 o 3) non hanno nulla a che fare con il concetto di autonomia: sono un pasticcio amministrativo inattuabile, rivedibile ogni 5 anni dal Potere Centrale, realizzato con legge ordinaria sempre modificabile anche con un Decreto Legge dal Governo, che, addirittura, “certificando” i costi storici, finisce col legittimare l’attuale spogliazione delle Regioni del Nord che firmerebbero la “legittimità politica” dell’attuale rapina da Nord verso il Sud (altro che Tafazzi … ).

L’errore dottrinale di Castelli nasce dal fatto che molti dirigenti leghisti (in realtà, tutti) non hanno mai risolto la domanda fondamentale: cosa è l’autonomia? L’equivoco “filosofico”, secondo molti, era una astuzia per mantenere compatti i ranghi degli autonomisti, spesso frazionati tra federalisti, secessionisti e separatisti. In realtà, come si è visto, dagli errori nascono solo disgrazie. L’autonomia è la situazione in cui una Regione si autogoverna e si autodetermina, punto.

La nozione di autonomie differenziate non ha nulla a che vedere con questo concetto, essendo una forma molto blanda ed annacquata di decentramento amministrativo, peraltro fatto anche male e di impossibile applicazione pratica. L’unica strada per la vera autonomia è quella della Riforma della Costituzione, cioè del Patto Sociale fondativo tra comunità e territori, in senso federalista o confederale. Solo con una Riforma della Costituzione – strada lunga e difficile, che forse molti di noi non vedranno mai compiersi – i territori possono avere la garanzia e la tutela del loro diritto all’autogoverno. La Riforma Costituzionale scolpirà il diritto all’autonomia nella Pietra delle Tavole della Legge. La Riforma Costituzionale garantirà i territori dai colpi di testa del potere centrale.  

E qui torniamo a Miglio, ovvero alla casella di partenza. Le altre strade, dalla devolution al federalismo fiscale, non sono scorciatoie, come qualcuno voleva far credere, ma strade della perdizione. Nel 1994 Cesare Previti, allora Ministro della Difesa del I Governo Berlusconi, disse che non era necessario fare una riforma della Costituzione per avere il federalismo, poiché lo si sarebbe potuto varare con legge ordinaria del Parlamento. Incredibile. Ecco, dopo 26 anni siamo ancora lì, con la differenza che il pensiero di Previti ha fatto breccia negli autonomisti, mentre quello degli autonomisti, no.

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