Cgia Mestre, in dieci anni 1 milione di giovani in meno nelle aziende

3 Settembre 2023
Lettura 3 min

Negli ultimi dieci anni è sceso di quasi un milione il numero dei giovani tra i 15 ei 34 anni. Questa contrazione nella fascia di età più produttiva della vita lavorativa sta arrecando grosse difficoltà alle aziende italiane. Molti imprenditori, infatti, faticano ad assumere personale, non solo per lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche perché la platea degli under 34 pronta ad entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo. Insomma, la crisi demografica sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la rarefazione delle maestranze più giovani è destinata ad accentuarsi ulteriormente.

Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione. A legislazione vigente, pertanto, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “rimpiazzare” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi della Cgia.

 E oltre ad averne pochi, il tasso di disoccupazione giovanile e l’abbandono scolastico sono elevati, soprattutto nel Mezzogiorno. Insomma, i giovani italiani sono in calo, con un livello di povertà educativa allarmante e lontani dal mondo del lavoro. Un responso che emerge in maniera evidente quando ci confrontiamo con gli altri paesi europei. E’ un quadro desolante che rischiamo di pagare caro se, come sistema Paese, non torneremo ad aumentare il numero delle nascite, a investire maggiormente nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale. Alla luce della denatalità in corso nel nostro Paese, appare evidente che per almeno i prossimi 15-20 anni dovremo ricorrere stabilmente anche all’impiego degli extracomunitari. In che modo? Per legge, a nostro avviso, dovremmo stabilire che il permesso di soggiorno, a eccezione di chi ha i requisiti per ottenere la protezione internazionale e di chi entra con già in mano un contratto di lavoro, andrebbe accordato a chi si rende disponibile a sottoscrivere un patto sociale con il nostro Paese. Il contenuto dell’accordo? Se un cittadino straniero si impegna a frequentare uno o più corsi ed entro un paio di anni impara la nostra lingua e un mestiere, al conseguimento di questi obbiettivi lo Stato italiano lo regolarizza e gli “trova” un’occupazione. Sia chiaro: è un’operazione complessa e non facile da gestire, anche perché il tema dell’immigrazione e del suo rapporto con il mondo del lavoro è molto articolato. Non solista; tutto ciò richiede una Pubblica Amministrazione in grado di funzionare bene e con prestazioni decisamente superiori a quelle dimostrate fino a ora. Il buon esito di un’iniziativa di questo tipo, ad esempio, non può prescindere da una ritrovata efficienza dei Centri per l’impiego, altrimenti la possibilità che l’iniziativa naufraghi sia pressoché certa. Grazie al coinvolgimento anche delle Camere di Commercio, dovremo accelerare il processo di avvicinamento e di conoscenza tra la scuola e il mondo del lavoro, senza dimenticare che non potremo rinunciare a un forte incremento degli investimenti sugli ITS e sulla qualità della formazione professionale; materia, quest’ultima, di competenza delle Amministrazioni regionali. 

Negli ultimi dieci anni la contrazione della popolazione giovanile italiana ha interessato, in particolar modo, il Mezzogiorno. In questa ripartizione geografica la indicata è stata pari a 762 mila unità (-15,1 per cento). Seguono il Centro con -160 mila (-6,6 per cento), mentre al Nordovest (-1 per cento) e al Nordest (-0,5 per cento) la flessione è stata molto contenuta. A livello regionale, invece, è stata la Sardegna con il -19,9 per cento a subire la flessione più importante. Seguono la Calabria con il -19 per cento, il Molise con il -17,5 per cento, la Basilicata con il -16,8 per cento e la Sicilia con il -15,3 per cento (vedi Tab. 1). A livello provinciale, infine, la realtà che negli ultimi 10 anni ha registrato la rilasciata più importante è stata la Sud Sardegna con il -26,9 per cento. Seguono Oristano con il -24 per cento, Isernia con il -22,2 per cento e Cosenza con il -19,5 per cento. In contro tendenza, invece, solo una dozzina di provincia. Le più virtuose sono lo stato Trieste con il +7,9 per cento, Bologna con il +7,5 per cento e Milano con il +7,3 per cento.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
Hosting: Stefania Piazzo

Newsletter

Iscriviti alla nostra Newsletter!

Servizio Precedente

Adamello in agonia, perso ghiacciaio come fossero spariti 70 campi di calcio

Prossimo Servizio

Economia in sofferenza, record al Nord – Unimpresa: 38 miliardi di rate non pagate alle banche dalle aziende. Lombardia la più indebitata

Ultime notizie su Economia

Evasione regionale. I campioni sono…

Negli ultimi 50 anni la politica dei condoni adottata dall’Italia ha consentito all’erario di incassare complessivamente 148,1 miliardi di euro (importo rivalutato al 2022). A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia. In termini economici, la

Zes, vantaggi per i soliti noti?

di Giuseppe Longhin – Dal 2014 al 2018 dapprima un consigliere regionale lombardo dell’allora PDL, a seguire un parlamentare leghista e a concludere, immodestamente, il sottoscritto consigliere provinciale hanno prima discusso, poi

Torna il fantasma sullo spread: record a 200

Lo spread tra Btp e Bund, dopo aver toccato nel corso del pomeriggio i 200 punti, chiudendo in calo a 193 punti dai 194 di ieri. Sempre forte il rendimento del decennale italiano che a fine giornata
TornaSu

Don't Miss