Sindone, quando arrivò nel 1578 a Torino, violando un patto…

30 Settembre 2020
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di Giuseppe Rinaldi – “La Sindone mostra l’immagine di un uomo vivo che si sta alzando”. A questa conclusione è giunto il dottor Bernardo Hontanilla Calatayud, dell’Università di Navarra, in Spagna, che ha pubblicato sulla rivista Scientia et Fides, un articolo inedito sulla figura rimasta misteriosamente impressa sul noto lenzuolo. La tesi dell’esperto è che la figura non corrisponda a una persona immobile e priva di vita, bensì viva che si sta alzando. Quest’affermazione, scritta in un articolo apparso sulla rivista Aleteia (pubblicazione di notizie cattoliche), s’inserisce in modo notevole nella dottrina sulla Resurrezione di Cristo e nelle proposizioni di altri esperti sul momento in cui l’immagine sarebbe rimasta impressa sul telo, come se corrispondesse a una radiazione sconosciuta, emessa dal corpo fino allora coperto.

Siamo certi che al mondo non vi sia un rettangolo di lino più studiato, adorato, contestato, rubato al pari di quello che porta l’effige di un uomo recante segni interpretabili come conseguenze di violenze subite. Ci riferiamo alla Sindone, conservata nel Duomo di Torino.

Per i credenti la sua storia parte da lontano, intorno al 33 dell’era volgare, per i dubbiosi è più vicina a noi. Infatti, stando alla tradizione “laica” la prima notizia che riguarda il sudario risale al 1353, quando il cavalier Goffredo di Charny regala alla collegiata della cittadina di Lirey un lenzuolo, affermando che trattasi di quello in cui era stato avvolto il corpo di Cristo e che di Questi recava l’impronta. A quel tempo il cavaliere non diede e mai darà conto sul come ne fosse venuto in possesso. La permanenza del sacro lenzuolo in questa cittadina e le ostensioni che ne seguirono, crearono, però, una accesa controversia nella Chiesa, in quanto una parte di essa addirittura metteva in dubbio la sua autenticità, basandosi sull’assunto che i Vangeli avrebbero fatto cenno di certo ad un manufatto così sorprendente, ove fosse realmente esistito a quel tempo. Il silenzio delle sacre scritture era prova, pertanto, che il sudario di Cristo con impresso il Suo corpo non poteva essere che falso.

Al fine di mettere a tacere le opposte fazioni, nel 1390 l’antipapa Clemente VII decreta una soluzione di compromesso consistente nell’autorizzare l’esposizione della Sindone, purché non si insista sulla autenticità della stessa. In ogni caso, a parte le beghe interne fra prelati, sta di fatto che per 1320 anni nessuno vide o vedendo non s’incuriosì nello scorgere un’effige umana impressa su di un telo.

Nella nebbia che per più di mille anni ha celato il mistero, in realtà, v’è uno squarcio, temporalmente molto remoto ma non di facile assimilazione alla Sindone che noi tutti conosciamo. Si tratta, infatti, del “Mandylion” (telo, lenzuolo, asciugamano), oggetto tramandato attraverso un “sinassario”, vale a dire una notizia più o meno storica affidata alla liturgia bizantina.

Questo drappo, un metro per mezzo metro, raffigurante un’immagine non dipinta da mano umana, ritraeva, secondo la tradizione, l’effige del Cristo vivo. Si conosce anche la data in cui iniziò la venerazione di questa reliquia, il 16 agosto del 944, quando in Costantinopoli si celebrò per la prima volta la festa bizantina della traslazione del Santo Volto, rimasto impresso sul telo, da Edessa a Costantinopoli. Tale “fotografia” risalirebbe, secondo alcuni, al momento in cui Gesù si asciugò il viso dopo il battesimo, ovvero, secondo altre, quando si asciugò il volto dopo la sudorazione di sangue, osservata da S. Luca, durante l’agonia del Getsemani.

Di questo telo abbiamo tracce che risalgono a Eusebio di Cesarea 263-339. Ma abbiamo anche qualcosa di più, vale a dire il racconto riportato a metà del IV secolo da Niceforo Calistas secondo il quale fu lo stesso lo stesso Gesù a creare l’impronta per inviarla al re Abgar Ukkama, principe di Osroeme a scopi taumaturgici. In ogni caso, anche di questa impronta dal 1204 in poi, poco a poco se ne perdono le tracce sino a non averne più notizia. Potrebbe di conseguenza identificarsi con la Sacra Sindone le cui prime note risalgono a poco dopo? Da escludere, giacché tutte le fonti concernenti il Mandylion parlano dell’effige di un uomo vivo e limitatamente al Suo volto, la Sindone, invece, raffigura un uomo morto, nella sua interezza, avanti e dietro, con chiare macchie di sangue. I difensori della continuità tra Mandylion e Sindone si difendono rilevando che il primo era un telo più volte ripiegato su se stesso palesante unicamente il volto di Cristo. Ciò non escluderebbe che il corpo fosse nascosto alla vista per effetto dei ripiegamenti.

Tornando alla “nostra” Sindone, questa arrivò a Torino dopo varie vicissitudini, così riassumibili.

Dopo che il cavaliere Goffredo de Charny, come già accennato, ebbe donato il sacro lino alla collegiata di Lirey, nel 1415, il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II, si fa consegnare il lenzuolo per preservarlo dai danni che la guerra in corso tra la Borgogna e la Francia avrebbe potuto procurare. In seguito, però, Margherita si rifiuta di restituirlo alla collegiata di Lirey reclamandone la proprietà. Nonostante i canonici la denuncino, la donna resiste a ogni pressione. Finché osteggiata dalla Chiesa, lo vende nel 1453 ai duchi di Savoia. Margherita sarà, qualche tempo dopo, scomunicata.

I Savoia fecero costruire un’apposita cappella nella loro capitale, Chambery, ottenendo dal pontefice Giulio II l’autorizzazione al culto pubblico della reliquia.

Purtroppo,”la notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, la cappella in cui la Sindone è custodita va a fuoco, e il lenzuolo rischia di essere distrutto: un consigliere del duca, due frati del vicino convento e alcuni fabbri forzano i cancelli e si precipitano all’interno, riuscendo a portare in salvo il reliquiario d’argento che era già avvolto dalle fiamme. Alcune gocce d’argento fuso sono cadute sul lenzuolo bruciandolo in più punti. La Sindone è affidata alle suore clarisse di Chambéry, che la riparano applicando dei rappezzi alle bruciature più grandi e cucendo il lenzuolo su una tela di rinforzo. Nel frattempo, poiché si è diffusa la voce che la Sindone sia andata distrutta o rubata, si tiene un’inchiesta ufficiale che, ascoltate le testimonianze di coloro che hanno visto il lenzuolo prima e dopo l’incendio, certifica che si tratta dell’originale. La Sindone viene di nuovo esposta pubblicamente nel 1534” (Wikipedia).

E si arriva cosi alla data di cui ricorre il 442esimo anniversario.

Il 15 settembre 1578, il sacro Sudario venne “temporaneamente” portato a Torino con il dichiarato fine di alleggerire il pellegrinaggio iniziato dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, per sciogliere un voto. Infatti, due anni prima aveva promesso che avrebbe raggiunto la Sindone a piedi se fosse stato debellato il flagello della peste. Attraverso il Piccolo San Bernardo, il Telo raggiunse Torino dopo una breve sosta presso il castello ducale di Lucento. Da qui il 15 settembre, entra a Torino e non si muoverà praticamente più. Il duca Sabaudo, contravvenne, così, ad un impegno firmato in precedenza col clero ed il popolo di Chambéry sulla restituzione della reliquia. Ma si sa: noblesse oblige.

N.B.Le immagini sono di proprietà dell’autore dell’articolo.

Furono donate nel 1898 con dedica da Secondo Pia (primo a fotografare

La Sindone), al Cav. Pacchiotti parente dell’articolista.

Nato in Piemonte cresciuto in Sicilia: Siracusa, Adrano, Giardini Naxos. Cavaliere della repubblica, pensionato, 46 anni di servizio presso l’Agenzia delle Entrate già Uffici Imposte Dirette. Ha scritto per Tribuna del Mezzogiorno; Gazzetta del Sud;
Il secolo d’Italia; La Padania e qualche testata locale.

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