di Luigi Basso – Le immagini che arrivano da Gerusalemme in questi giorni sono davvero terribili: la fine del Ramadan è coincisa con le proteste dei Palestinesi per gli sfratti pendenti nel quartiere di Sheikh Jarrah, alle quali ha fatto da contraltare una durissima repressione israeliana, con l’irruzione in armi di soldati anche nei pressi di alcuni luoghi santi.
Le Cancellerie dei Paesi di tutto il mondo, come sempre avviene in questi casi, invitano al dialogo ed alla calma, ma in realtà Gerusalemme non avrà mai pace e ciò è evidente se si guardano le cose abbandonando il punto di vista occidentale, soprattutto europeo.
Per capire cosa sta accadendo a Gerusalemme occorre tenere a mente che le società europee (un po’ meno, ma solo un po’, le società statunitensi) sono secolarizzate: in nessuno Stato del Vecchio Continente, neppure in Italia dove ha sede il Vaticano, viene revocato in dubbio il principio di separazione tra Stato e Chiesa.
La Religione, in Europa, sul piano filosofico e sociologico, ha oramai un posto decorativo e non più sostanziale: persino Papa Francesco ha chiarito più volte che le legislazioni degli Stati hanno il diritto di regolare i rapporti civili liberamente.
Insomma, da noi vita civile e credenza religiosa sono due rette parallele.
Ma la situazione sopra descritta non trova uguale manifestazione in altre parti del mondo.
In particolare, Israeliani e Arabi vivono la loro Religione in modo assoluto e totale, nel senso che non è possibile distinguere la testimonianza di fede dal comportamento quotidiano: i movimenti politici di chiara ispirazione religiosa sono numerosi (in Italia, la stagione di mescolanza tra precetti religiosi e politica terminò con la Democrazia Cristiana negli anni ’90).
Anche dal punto linguistico è evidente questa commistione: israeliano ed ebreo, arabo e musulmano o islamico, sono spesso usati nel linguaggio comune in modo indifferente, alludendo con un nome all’altro; ma lo stesso non vale col termine europeo e cristiano.
E tra Ebrei e Musulmani si colloca l’insolubile rebus di Gerusalemme.
Gerusalemme costituisce un enigma insolubile per motivi religiosi e filosofici e non per motivi economici o finanziari: è per questo che un occidentale difficilmente riuscirà a capire l’impossibilità di risolvere il nodo.
A Gerusalemme, 3000 anni fa il Re Davide iniziò la costruzione del Tempio sul Monte Moriah, ma, come gli aveva predetto Dio, non ne vide la fine: il Tempio fu terminato dal figlio Salomone.
Il Monte prescelto era quello dove Abramo avrebbe offerto il sacrificio del figlio Isacco a Dio.
Il Tempio fu distrutto da Nabucodonosor e poi ricostruito e, nel 70 d.c., fu definitivamente distrutto dall’Imperatore Tito che lascerà in piedi agli israeliti solo un muro per piangere e disperarsi (il muro del pianto, appunto).
Secoli dopo, su quel Monte, anzi, sulla roccia che vide il tentativo di sacrificio di Isacco da parte di Abramo (venerato da tutte le tre grandi religioni monoteiste), i musulmani costruirono la Cupola della Roccia e nei pressi la Moschea di Al Aqsa, poiché Maometto salì al cielo proprio da quella roccia, che secondo l’Islam è il posto della Terra più vicino al Paradiso.
La Cupola della Roccia è un luogo santo dell’Islam, ma gli ebrei sono chiamati irrimediabilmente a ricostruire il Tempio del Re Davide e di Salomone in quel sito.
Tertium non datur.
Insomma, Ebrei e Islamici litigheranno per sempre su quel pezzo di terra, perché è la fede nel loro Dio a portarli a contendere un luogo santo per due religioni: nulla potrà cambiare questo fatto.
photo by Sander Crombach