Se la Lega dice addio,Gori rilancia: #ricominciodalNord. Ma il primo fu Cofferati

3 Agosto 2020
Lettura 6 min

di Stefania Piazzo – Sì, ha ragioni da vendere il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, nel commentare l’addio della Lega alla Lega Nord. Un funerale in casa, annunciato, verso il partito sempre più personale di Matteo Salvini.

“Salvini allontana la Lega dal Nord e davanti al Pd c’è l’occasione della vita: farsi rappresentanza della parte più moderna ed europea del Paese. Ci vogliano provare? Si comincia col mettere il lavoro, la produttività e la crescita in cima alla nostra agenda. #ricominciodalNord”. Lo scrive su Twitter il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. 

Sì, è l’occasione della vita. Ma non da oggi.

D’altra parte lo aveva già ufficialmente dichiarato: “Io non tutelo gli interessi del Nord”, 18 febbraio 2020, intervista al Corriere del Mezzogiorno.

Ecco qua.

Ribadito via social.

Il centrosinistra si fa avanti? Gori lancia la sfida? Che esista una questione meridionale e una questione settentrionale, problemi diversi, ricerca di soluzioni diverse, ma condivise, è il punto di svolta. La questione è chi saprà cogliere il testimone del territorio trainante del Paese. Il Pd? Perché di un Pd nordista o del Nord sono piene le pagine dei giornali in archivio.

Giusto due anni fa, a fine luglio, guardate cosa si leggeva?

Il dorso del Corriere di Bologna, a casa del Pd, titolava il 29 luglio 2018 proprio così.

C’è da crederci? Il Pd ha davvero a cuore il Nord? Perché non parla di federalismo? Di questione settentrionale? Gli potrebbe portare fortuna, il governo gialloverde aveva un ministero per il Sud e un vicepremier della Lega. L’onorevole varesino Marantelli era un politico del Pd con cui la Lega dialogava, ai tempi in cui la priorità era la riforma dello Stato. Ma i tempi sono cambiati. Anche se qualcosa in fondo in fondo c’era. Ci sarà ancora? Rileggiamo le cronache di appena 10 anni fa. Per chi non ha buona memoria può e deve essere utile per chi vuole argomentare le ragioni del Nord.

Nel 2013,  ci si apprestava al voto amministrativo e politico che avrebbe portato il Pd al governo per la prima volta nella storia. Fu un’occasione persa per prendersi il Nord. La sinistra più a sinistra eppure non c’era più, basti ricordare l’uscita di Rifondazione comunista dal Parlamento nel 2008, poi ci fu il fallimento  di Rivoluzione civile di Ingroia nel 2013. Ma la sinistra restava incapace di rispondere alla fame di giustizia sociale, disattesa e frustrata da Nord a Sud.

E, dall’altra, c’era il tramonto dell’idea di Padania. Politicamente, giornalisticamente, letterariamente ha animato decenni di discussioni e di battaglie. Anche morali, di valori.
Ora che la Lega è travolta e seppellita da cambiamenti, rimozioni carismatico-simboliche, da un ripensamento radicale del suo modo di essere e chiamarsi, capofila della destra più a destra degli ex missini,  dopo non aver sfondato come Csu Bavarese, alla ricerca di requisiti per esserlo, sperando di fare in pochi quel che non ha combinato con molti, non può non tornare alla memoria, senza parlare sempre di Guido Fanti e della macroregione ipotizzata dalla sinistra nel 1975,  Sergio Cofferati. Un altro emiliano, anche se acquisito, con senso acuto del fare e dell’interpretare dove va la gente.
 

Pensa te. Una volta Sergio Cofferati, uno che non era di destra e neanche bossiano, rimproverò i suoi l’aprile del 2008 dopo il trionfo elettorale del Carroccio per dire: ma che, siete sciocchi a dire che la Padania non esiste? Non parlava di Nord punto cardinale ma di una terra ben delimitata da un’economia e da una cultura che non si sentiva rappresentata dal Pd.


“La Padania esiste, è qui e va capita”, dichiarava a Federico Geremicca su La Stampa, il 17 aprile 2008. “Se il Pd non se ne rende conto, perderà sempre”.
E faceva un ragionamento molto serio, Cofferati. Diceva: votano la Lega, al Nord, che è cosa ben diversa dal votare Berlusconi, perché “ha evidenti elementi di diversità”. Elementi che per l’obiettivo del Pirellone e di Roma, si sono tatticamente smussati. E aggiunge il Coffe: “Ma certo che sì, guardi che io son di lì, nato a Sesto e Uniti, in provincia di Cremona, in mezzo ai contadini”.

Commentava a Geremicca: “La Padania esiste, e lo dimostrano perfino i risultati elettorali: se è così, non ha senso negarlo perché ne ha parlato prima la Lega”.


La “cosa” uscita dalle urne al Nord, nell’ex Padania, è ora un partito di destra. Che nome daranno i risultati elettorali al futuro di questa terra e al resto del Paese? A destra della destra con un partito nazionalista.
Cofferati però andava oltre e spiegava: “Credo occorra ormai analizzare anche i risultati elettorali non più regione per regione ma area per area. Se noi osservassimo  le cose un po’ più dall’alto, ci accorgeremmo che quel che accade sulla sponda destra del Po succede anche sulla sponda sinistra…”. Ma bisogna saper guardare le cose dall’alto, appunto.

E oggi, sulla sponda di destra o di sinistra a seconda dei punti di vista, il Pd ha il governatore Bonaccini, uno che aveva già detto “occhio al Pil della parte più produttiva del Paese”. E sempre a destra o sinistra del Po, a seconda dell’angolo di lettura, un sindaco come Sala da Milano faceva autocritica sulla contrattazione nazionale che genera disparità retributive al Nord.

Insomma, qualcosa c’è in pancia, ma non da oggi con Gori, Sala e Bonaccini. Perché era ancora Cofferati ad affermare:
 

“In grandi aree del nord ci sono ormai elementi di uniformità dettati dalla struttura economica e sociale: e per queste due vie, producono risultati elettorali. Se si guarda la pianura… Cremona e Reggio Emilia, oppure Mantova e Ferrara – che sono città di regioni diverse – hanno una strutture economica, sociale e risultati elettorali del tutto simili”.

Insomma, viene al dunque: “gli elementi di identità territoriale non sono più rappresentati dai confini geografici e regionali. Le persone si muovono… Io penso che non ci possa organizzare efficacemente sul piano della rappresentanza considerando invalicabili i confini geografici… Dunque, quando penso alla dimensione territoriale del futuro Pd, penso a due cose assieme: agli antichi insediamenti ottocenteschi della rappresentanza politica – luogo per luogo, paese per paese – e ai modernissimi scavalcamenti di confini geografici e regionali ormai fittizi. (…). Un partito deve prendere come riferimento queste grandi aree. E’ inevitabile. Non farlo non ci aiuterà né a capire il nord né a radicare il Pd in queste aree decisive del Paese”.

Ma certo, nazionale, perchè le risposte non possono essere frammentate, ma fermamente radicato e portatore di interessi territoriali, cosa che a Salvini oggi non interessa più.

E allora, cosa è accaduto, cosa ha alzato il ponte levatoio della “Padania che esiste e va capita” pur cercando di rincorrere il consenso del Nord, per erodere un pezzo di fossato alla volta?

Due legislature Pdl-Lega che hanno deluso le aspettative dei federalisti. Il Pd che vuole fare da grande?

E allora? Sentite cosa diceva Cofferati:
“A parte il fatto che quando un partito supera certe soglie di consenso il suo radicamento è necessariamente interclassista, vorrei ricordare il 1994, cioè la crisi del primo governo Berlusconi. Il sindacato protestò per la riforma delle pensioni proposta, ma la crisi l’aprì Bossi in Parlamento. E lo fece perché l’acuirsi del contrasto tra sindacato e governo mandò in sofferenza la base sociale ed elettorale della Lega, che già allora era fatta anche da operai. E se devo dirle, anzi, la situazione di oggi mi sembra somigli molto a quella che ricordavo”.

Insomma, Bossi mandò a quel Paese Berlusconi, lo fece perché la sua base era stata tradita. Furono anni duri quelli che seguirono, ma non rinnegarono la matrice popolare per rafforzare il consenso, quello che servì poi a scardinare di nuovo la corsa del Pd al governo. Se dobbiamo dirla come Cofferati, anche oggi la situazione somiglia a quella lì.

E oggi l’identità che lega gli elettori, e le ragioni del voto in passato a Grillo e a Salvini populista qui abbondano, è la crisi economica, la mancanza di lavoro, l’identità comune è il rigetto di una classe politica che ha tradito da destra a sinistra al centro il mandato elettorale. E’ un’identità interclassista e sovraregionale. Esprime l’impeto del primo Bossi e corre più veloce della politica che ripete da  mesi gli stessi slogan.

A furia di fare avanti e indietro, di aggiungere e togliere pezzi, tornare con quelli di prima, che ne sarà del Nord?

Ma che dire della cronaca politica del 1° dicembre 2008 quando si leggeva di un coordinamento politico del Pd al Nord?

Insomma, dai e dai, forse una nuova generazione meno ideologica e più pragmatica non ci sta a vedere omologati i propri territori. I ruoli si potranno invertire? Auguri a Gori e alla squadra, stiamo a vedere.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
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