Indipendentismo veneto: serve leadership, coraggio e schei

26 Settembre 2020
Lettura 2 min

di Giacomo Mirto – Le elezioni regionali hanno lasciato l’amaro in bocca ai tanti che speravano fosse giunto il momento di vedere la nascita di un partito territoriale alternativo alla Lega. Speranza che, come ha scritto giustamente il giornalista Francesco Jori, molti veneti hanno da ormai 35 anni. Speranza che, oggi come ieri, è rimasta tale.Nella miglior tradizione popolare italica anche in questo caso dopo la sconfitta, si sprecano gli improvvisati esperti politologi che imputano a quel candidato o a quella strategia l’insuccesso ottenuto. Gli stessi esperti da salotto che nelle loro lunghe esperienze politiche hanno ottenuto ben pochi successi, se non la capacità di parlare spesso a vanvera. Analizzando i dati e gettando il cuore oltre l’ostacolo infatti, mi viene da constatare con amarezza come candidato, programma o simbolo centrino ben poco con questa ennesima “sconfitta”. E sono sempre i dati a parlare: negli ultimi 35 anni, a tutte le tornate elettorali i voti raggranellati dalle molteplici liste autonomiste e indipendentiste presenti sono sempre stati bene o male gli stessi. Con andamenti positivi o negativi da zero virgola. Anche quando si sono presentati candidati di tutto rispetto come Alessio Morosin, Fabio Padovan o Silvano Polo. L’unico picco lo abbiamo avuto nel 2005 con il compianto Giorgio Panto, che se ha avuto il merito di raccogliere il 6% di consenso in Veneto, nonostante la presenza in quella tornata della Liga Veneta Repubblica di Comencini alleata al centro-sinistra che raccolse l’1%, va detto che i voti arrivarono solo da aree ben precise; esattamente quelle aree in cui il suo canale televisivo era visto e ascoltato. Non si spiega altrimenti come quel 6% sia stato frutto del 16% preso in Provincia di Treviso, ma mediato con l’1% della Provincia di Verona nella stessa tornata elettorale. A Verona infatti il canale della sua tv nemmeno prendeva.

Tutto questo aggravato nel 2020 dal fenomeno Zaia il quale, senza un partito ma con una lista personale, ha raggiunto quasi il 50% dei consensi lasciando alla Lega, partito strutturato con mille sezioni e amministratori solo le briciole giusto per accontentare i mugugni interni.Credo che a questo punto l’indipendentismo veneto debba interrogarsi. E non tanto sul progetto politico, che c’è ed è unico l’unico progetto veramente politico in Veneto (nel mio piccolo ho cercato di spiegarlo nelle 160 pagine del mio libro Il Veneto che vorrei). Ma piuttosto deve interrogarsi innanzitutto sulla leadership, sul quel front-man o front-girl prettamente mediatico ma oggi necessario, in grado con coraggio di andare anche contro la “vecchia guardia” autonomista e indipendentista; la quale forse, è giunto il momento si faccia da parte e raccolga il nobile ruolo di “vecchio saggio” che aiuti per amor patrio a crescere una giovane generazione indipendentista al passo con i tempi.Leadership che deve essere in grado di parlare al mondo delle imprese ma anche al cuore della gente, con quella passione e coraggio che sono le chiavi di volta per racimolare quei “schei” e quel consenso senza dei quali oggi politica non la si fa.Leadership che deve essere affiancata nei territori da un gruppo di giovani preparati (ci sono) che raccolgano consensi personali nei territori grazie al lavoro concreto fatto negli anni passati e in quelli futuri.L’indipendentismo veneto oggi in defintiva non va unito o rilanciato: va semplicemente rifondato. Volti nuovi per un nuovo inizio.

Giacomo Mirto,  classe 89, impegnato nel percorso culturale e civico per l’indipendenza del Veneto

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