Categorie: Opinioni

Bidelli “pendolari” e precariato eterno nella scuola, estrema conseguenza dei prof sessantottini

Bidella pendolare e putrefazione dello stato

La vicenda reale della bidella pendolare si sta chiarendo e non ha niente di eroico o di spregevole. E’ il consueto comportamento di persone che cercano nella sfrangiatissima normativa del dipendente scolastico statale il modo per sbarcare il lunario. E l’opinione pubblica si divide tra chi le difende e chi le disprezza, dimenticando che è proprio la mancata gestione ministeriale e statale l’origine delle assurdità quotidiane sotto gli occhi di tutti.

Il risultato nella scuola di questo numero enorme di “precari” che in ogni istante pensano ovviamente al proprio destino e non certo alla scuola e agli alunni, è il totale degrado organizzativo che ha distrutto ormai ogni autorevolezza della scuola stessa e del ministero che dovrebbe guidarla. Un degrado che ricade su alunni e famiglie, cioè su quelli che dovrebbero essere al centro di tutte le attenzioni e che invece sono i nuovi innominati.

La sfrangiatissima normativa del personale della scuola nasce nel dopo “68”.

Nella scuola di quegli anni in fortissima espansione, anche per un numero di nati record di circa 1 milione l’anno, entrarono in massa gli universitari sessantottini pieni di un rancore antistatalista allora perfettamente giustificato a seguito delle vicende universitarie e soprattutto del dramma ancora irrisolto della strage di Piazza Fontana che ne fu al centro.

Parlo per esperienza anche diretta. La visione di uno stato bugiardo che non voleva e non vuole ancora chiarire un dramma gigantesco ci e mi aveva incattivito e quindi entrammo nella scuola carichi di avversione ad una solennità tradizionale che ci appariva ipocrita.

In pochi anni i sessantottini presero il sopravvento nelle scuole cominciando dalla scuola media. I collegi docenti divennero interminabili e furiose assemblee contro l’autoritarismo, cioè la vecchia paciosa organizzazione che aveva al centro la figura del preside.

In pochi anni la CGIL crebbe potentemente fino a superare CISL e SNALS che erano i tradizionali rappresentanti degli insegnanti. La DC rispose con i decreti delegati del “74 che davano il potere organizzativo nella scuola ai consigli di Istituto composti da rappresentanti elettivi di docenti alunni e genitori con la presidenza ad un genitore. Questi decreti sono ancora vigenti. Il PCI allora votò contro dicendo che il sindacato (il territorio…) non vi era rappresentato.

Ma questo sopravvento ben presto prese una brutta piega. Proprio i genitori non assecondavano l’utopia egualitaria. La difesa dei “diritti” del personale divenne l’arma più potente del nuovo sindacalismo che la usava per espandere il consenso e sostenere contemporaneamente l’utopia ugualitaria ( che io chiamo tempopienismo) di cui il tempo pieno era il nocciolo.

Anche l’utopia però presto si affievolì e rimase prevalentemente il dirittismo del personale. In pochi anni fu abolito l’obbligo di residenza nel comune di lavoro, poi l’obbligo di sana e robusta costituzione per le assunzioni, poi l’obbligo del giuramento di fedeltà alla costituzione, poi perfino la festa nazionale del 2 giugno. Fu varata la normativa delle pensioni baby da parte del governo per resistere all’avanzata del sinistrismo, sostenuta dal sindacato con l’argomento che così si generavano posti di lavoro.

Le sale docenti erano il luogo in cui si parlava prevalentemente di due cose: pensioni e trasferimenti.

L’autorevolezza della scuola e dello stato fu completamente demolita e nessuno seppe ed ancora oggi sa formulare progetti e visioni per ricostruirla.

Anche il nuovo ministro arranca e ne inventa una al giorno ma non ha assolutamente una linea né tattica né strategica. Ovviamente una rinascita dell’autorevolezza di uno stato adatto alla realtà italiana che è una e trina (nord centro e sud) richiede una grandissima maturazione sia negli intellettuali che nelle masse.

Ma deve avvenire perché è l’unica alternativa alla stagnazione e alla putrefazione.

Redazione

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