Il Green Pass obbligatorio a scuola e in università non può essere il grimaldello giuridico per applicarlo anche in uffici e imprese. Ne è convinto Valerio De Stefano, giuslavorista, docente di Diritto del lavoro a Lovanio, in Belgio, che in un’intervista a La Repubblica spiega come per il green pass nel settore privato serva “una legge molto dettagliata che vada a limitare al massimo le informazioni raccolte dalle aziende e stabilisca il fine di questa raccolta solo per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Rischiamo un uso non imparziale di questi dati che può portare a discriminazioni, anche demansionamenti e licenziamenti, in casi estremi”. Non bastano le norme introdotte per sanità, forze dell’ordine e ora scuola? “No, perché questi sono comparti della Pubblica amministrazione e si presume che agiscano con criteri di imparzialità nel raccogliere i dati sanitari dei lavoratori – evidenzia De Stefano – Lo stesso uso congruo non è scontato con le imprese. Senza una legge, non c’è possibilità concreta di controllare come si utilizzano i dati e a quale fine nel privato. Pensiamo al caso degli immunodepressi”. E non basta un accordo tra sindacati e imprese, “ci vuole una legge – insiste il giuslavorista – I luoghi di lavoro non sono bar o cinema dove si va per scelta. Il lavoro è un diritto costituzionale”. E “la regola è che i dati sanitari del lavoratore sono e restano privati. E il datore non deve conoscerli”.