di Roberto Gremmo – Alberto Vacca è uno storico controcorrente, e già questo è un merito; ma per di più documenta nei suoi libri vicende poco note e scomode della storia contemporanea, perciò i suoi contributi sono sempre di grande importanza, benché, manco a dirlo, vengano colpevolmente silenziati dall’informazione di potere.
Il suo saggio che ridimensiona il “tradimento” di Silone, l’analisi attenta del rapporto fra Mussolini e la gente e la ricostruzione puntuale dello sconcertante e doloroso episodio del giudice Sallusti ucciso perché bollato come fascista sono stati tasselli preziosi di un impegno culturale che scandaglia aspetti significativi del nostro passato.
Suo è anche uno studio sullo spionaggio fascista in Sardegna; un lavoro che in qualche modo anticipa il nuovo libro “L’occhio del duce in casa Matteotti. La spia dell’Ovra Domenico De Ritis” (Edup edizioni; pag.286 euro 26).
Il personaggio messo a fuoco è uno squallido informatore fascista, sedicente socialista, incaricato di tener d’occhio da “buon amico di famiglia” la vedova ed i figli del martire Giacomo Matteotti, massacrato vigliaccamente dai sicari di Mussolini.
Il fantasma del deputato polesano ucciso a coltellate tolse per tutta la vita il sonno al Duce così come la presenza dei suoi stretti parenti, la moglie Velia e i figli, lo preoccupò sempre, temendo che gli antifascisti potessero strumentalizzare i loro lutti nella battaglia contro il Regime.
Da qui la decisione di attivare Domenico De Ritis che prese tutti sotto tutela e al contempo riferiva alla Polizia Politica i loro spostamenti.
Alberto Vacca pubblica tutti i suoi rapporti segreti, lo inchioda alle sue responsabilità e non manca di denunciare la sua anguillesca capacità di sfuggire ad ogni castigo perché alla caduta del fascismo lo spione “Aristodemo” la fece sostanzialmente franca.
Vent’anni fa divenni amico di Matteo Matteotti quando lavoravo con l’aiuto prezioso di Orfeo Mucci allo studio su “Bandiera Rossa”, il più forte movimento partigiano di Roma di cui il figlio di Matteotti era una specie di icona vivente. Ricordo nella casa veronese il suo sguardo triste di ragazzo privato del padre, mentre ricordavamo i giorni della Resistenza, della cospirazione, della sciagurata bomba di via Rasella e della feroce rappresaglia che decapitò “Bandiera rossa” e l’accenno fugace ad “un vecchio amico di famiglia” che aiutò lui è poi Buozzi a nascondersi per salvarsi.
Abile e insospettabile, ora il confidente del Duce viene finalmente smascherato pienamente. E lo si deve al lavoro di Vacca che Giorgio Benvenuto nella sua autorevole prefazione, ringrazia per essere riuscito a “esaudire quella sete di giustizia invocata invano dalla sposa di Giacomo Matteotti”.
La verità prima o poi viene sempre fuori.