IL BUCO DEL (MON)VISO – Come nacque il primo traforo alpino

25 Aprile 2021
Lettura 4 min

di Giuseppe Rinaldi – Occorre una premessa. Quando l’autorevole Adelaide di Torino (discendenza Arduinica, cugina della Gran Contessa Matilde di Canossa) sposò in terze nozze, nel 1046, “nientepopodimeno” che Oddone, quartogenito del Conte Biancamano di Savoia, l’assetto geopolitico ed economico dell’Italia nord occidentale subì un sussulto. Infatti, il matrimonio significò lo sdoganamento in territorio italiano dei Savoia, signori originariamente d’oltralpe e nel contempo l’apparizione di una signoria di “passo”, che grazie al controllo dei valichi alpini Alpi, divenne ricca e potente.

Per quanto sopra, il Marchesato di Saluzzo, si trovò stretto tra la corona alpina e i possedimenti dei Savoia, privo di uno sbocco diretto verso la Francia e il mare. Pertanto, all’occorrenza, i movimenti di uomini e merci per e da oltralpe dovevano necessariamente transitare in territori controllati dai Savoia, pagando dazio, oppure, in alternativa, scavalcare le Alpi inerpicandosi sul Colle delle Traversette, sino a quasi 3000 metri, per poi ridiscendere verso la valle del Gujl in Francia. Con quali disagi si può immaginare, tenuto anche conto dello stop degli interscambi durante periodo invernale, quando l’attraversamento del valico era impossibile.

Fu per queste ragioni che un bel giorno, il marchese di Saluzzo, Ludovico II del Vasto, di discendenza Aleramica (un ramo del casato, proveniente dal Monferrato emigrerà in Sicilia), fece un ragionamento semplice. “Se per avere un comodo sbocco al mare, necessario per incrementare la via del sale, non posso usare la pianura dominata dalle gabelle dei Savoia, né posso valicare con sicurezza l’alto ed impervio Traversette, che faccio? Buco la montagna, il Monviso”.

E nacque così il primo traforo alpino italo-francese.

I lavori, concordati con i cugini francesi, iniziarono il 1479 sotto la direzione degli ingegneri Martino di Albano e Baldassarre di Piasco e furono completati l’anno successivo, scavando in un’unica direzione: Italia-Francia. L’opera che oggi unisce i comuni di Crissolo (CN) e Cristolas in Francia, fu un vero successo sin da subito, infatti, attraverso il cunicolo passarono genti e merci e già al secondo anno di attività si registrò il transito, tra l’altro di 20.000 sacchi di sale, l’oro bianco di quei tempi.

Si narra, in proposito, che nelle valli del saluzzese (Maira, Varaita, Po ecc.), fu grazie a questo tunnel che nacque il mestiere dell’acciugaio, strettamente legato al transito del sale. Infatti, la gente del luogo per aggirare le pesanti gabelle imposte dai Savoia sul sale, erano usi porlo unicamente nella parte bassa dei barili, avendo cura di nasconderlo alla vista con una notevole quantità di acciughe che erano esenti da dazi. Il tunnel del Viso, permise, non solo, di aggirare l’ostacolo della greve tassazione ma ridusse nel frattempo i tempi di approvvigionamento di beni ittici dalla Provenza. La concomitanza delle due conoscenze suggerì l’idea della conservazione delle acciughe sotto sale, attività cui i valligiani si dedicavano nei mesi invernali quando nei campi era impossibile lavorare.

Il traforo fu usato anche a scopi militari. Lo stesso marchese Lodovico II lo utilizzò per fuggire in Francia. Vi transitarono anche le artiglierie francesi allo scopo schierarsi opportunamente in occasione della battaglia di Fornovo, e così fece il re francese Francesco I per combattere l’imperatore Carlo V.

Posto a quota 2880, il tunnel presenta le seguenti caratteristiche: gli originali 100 m. di lunghezza si sono, oggi ridotti a 75 a causa dell’erosione dei fianchi della montagna. Invariati, invece, i 2 di larghezza ed i 2,5 di altezza. Il “buco” fu scavato a mano, usando una tecnica di cui si trova traccia in Diodoro Siculo.

Ci ricorda , infatti, “Wikipedia”: « … consisteva nell’alternare le operazioni di scavo a quelle di accatastamento di legname da ardere contro la parete rocciosa; incendiando la legna le fiamme intaccavano la roccia, che subiva un primo processo di calcinazione a seguito del quale si screpolava e si fendeva frammentandosi gradualmente. In seguito la manovalanza bagnava la roccia con grandi quantità di una soluzione di acqua bollente e aceto, gettata con forza al fine di disgregarla anche internamente. A quel punto la roccia diveniva sufficientemente friabile per essere lavorata con efficacia con picconi e pali in legno che venivano incastrati con forza e fatti agire nelle fessure che si erano venute a formare con le fasi precedenti. Ovviamente l’intero procedimento doveva essere necessariamente ripetuto con una certa frequenza, a mano a mano che il fronte dello scavo progrediva».

L’opera perse d’importanza dopo il 1601, quando il Marchesato di Saluzzo in dipendenza del trattato di Lione, fu annesso al Ducato di Savoia, tanto che cadde in disuso e rimase impraticabile sino alla prima metà del XIX secolo quando, gli abitanti dei paesi più prossimi dei due versanti ne curarono personalmente la riapertura. Questa avverrà definitivamente il 25 agosto del 1907, grazie all’intervento di Giovanni Giolitti e del CAI di Torino.

Dopo alterne fortune, di recente il “Buco del Viso” è stato riaperto a seguito di manutenzione e messa in sicurezza. In genere l’attraversamento è consentito da giugno a settembre, poiché negli altri mesi le due estremità sono chiuse per evitare l’ingresso della neve.

Oggi da qui non passano più carovane commerciali o eserciti a cercar la pugna, bensì serafici escursionisti, con scarponcini e abbigliamento a “cipolla” opportunamente firmato, recando la provvidenziale pila per illuminare il buio tragitto. I più salgono a piedi ma ci sono irriducibili cicli amatori che amano cimentarsi tra la neve e la roccia del Monviso.

Questo massiccio di roccia e neve, cantato da Virgilio nel libro X dell’Eneide e indicato come Vesulus, ben visibile da gran parte del Piemonte, non è esente da miti e leggende, con riferimento, forse, al toponimo di “Re di Pietra”.

Una di queste lo vuole in vita come re e signore di terre Cozie, sposato con Besimauda. A seguito di un aspro litigio, causato dalla eccesiva galanteria del marito usata nei confronti delle dame Vallanta e Soustra, la regina fu allontanata dal regno. Ma tante e così rumorose furono le imprecazioni di questa contro il coniuge e viceversa che, rimbalzando da valle in valle, da roccia in roccia, finirono per indispettire gli dei per tutto quel baccano, al punto da trasformare i sovrani in pietre silenziose. Il re, contrito, chiese, di essere posto insieme alla consorte in un punto tanto alto che permettesse loro di guardarsi nel tempo. E così diventarono il Monviso nelle Alpi Cozie e la Bisalta (altro modo di chiamare Besimauda) nelle Alpi Marittime.

Dal che: i panni sporchi non era meglio lavarli in casa.

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