Voto di settembre, il prezzo che pagherà il Nord (e il Trentino) per la discesa al Sud di Salvini

26 Giugno 2020
Lettura 6 min

di Gianfranco Merlin – Il centrodestra ha finalmente definito l’assetto dell’alleanza in vista delle elezioni regionali e comunali del prossimo settembre evidenziando come il leader Matteo Salvini (difficile dire per ancora quanto tempo lo sarà ancora, incalzato a ragion veduta da un’arrembante Giorgia Meloni) ha dovuto incassare l’ennesima retromarcia, dopo la baldanzosa richiesta di mettere il proprio cappello su più candidature a governatore di quelle inizialmente concordate con Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Di fatto, la Lega, oltre alla roccaforte inespugnabile del Veneto di Luca Zaia (roccaforte resa tale più per meriti della Liga Veneta che della Lega salviniana), il Matteo del Papeete dovrà accontentarsi della sola Toscana, dove presenta la giovane eurodeputata Susanna Ceccardi, già sindaco di Cecina. Una candidatura che, oltre al pedigree di fedelissima del Leader Maximo, rischia di fare la fine ingloriosa di un’altra candidatura fedelissima, quella della deputata Lucia Borgonzoni, perdente fin dall’inizio nella corsa alla conquista dell’Emilia Romagna contro una volpe astuta e scafata come Stefano Bonaccini.

A Salvini tocca fare buon viso a cattivo gioco, vantandosi del fatto che la “sua” Lega potrà proporre candidati a sindaco di molte importanti città del Sud, cosa che, nei suoi pensieri, dovrebbe consentire di consolidare la “Lega Salvini Premier” nelle terre sudiste, finora avare di consenso per il politico milanese.

Siamo sicuri che la strategia imboccata negli ultimi anni dal leader leghista sia quella giusta per ottenere risultati che vadano oltre il mero boom iniziale che poi, inevitabilmente, si tramutano, sulla distanza, in altrettanti flop?

Stando ai sondaggi, da quando Salvini scelse la clamorosa rottura di governo con i pentastellati, la Lega è sì cresciuta nei sondaggi toccando il picco del 34% di qualche mese fa, ma dalla disfatta di Borgonzoni in poi l’andamento è stato sempre calante, fino a consolidarsi da molte settimane attorno al 24%. Intendiamoci, un risultato per nulla trascurabile, specie se si considera il livello di partenza della segretaria di Salvini dopo gli scandali che hanno travolto Bossi, con una Lega ridotta ad un misero 4-5% maroniano.

Come detto, il problema sta nel consolidamento e, possibilmente, del miglioramento dei risultati ottenuti: questo ben difficilmente lo si può ottenere ponendo nelle varie caselle di potere solo i fedelissimi del momento.

A questo proposito, prendo ad esempio una realtà che ben conosco, il Trentino, dove alle elezioni regionali del 2018 la Lega ha fatto uno storico cappotto (ben 14 consiglieri su 35) e pure in Alto Adige (ben 4 consiglieri e l’ingresso per la prima volta nella storia nella giunta provinciale in rappresentanza degli italiani assieme alla Svp) il successo è stato notevole.

In Trentino, Salvini ha imposto alla presidenza della provincia uno dei suoi fedelissimi di turno, Maurizio Fugatti, all’epoca sottosegretario alla sanità del governo Conte I. Oltre al fatto di avere tolto al Trentino il primo uomo di governo nazionale dopo un’assenza durata oltre vent’anni (gli ultimi esponenti di governo nazionale locali erano espressione della DC o del PCI), si è messa alla guida dell’Autonomia speciale una persona che ha proseguito nella linea salviniana di portare con sé in lista, prima, e al governo della Provincia, poi, solo i fidatissimi, nonostante che la Lega trentina potesse vantare un parterre di militanti storici con vasta esperienza amministrativa e professionale.

Detto che la vittoriosa campagna elettorale in Trentino e in Alto Adige è stata più il frutto del traino di Salvini che dei candidati locali, i nodi sono venuti al pettine alla prova del governo dell’Autonomia speciale. Tutto legittimo, ma a volte non basta la militanza. Davvero un po’ poco per consegnare competenze gestionali per miliardi di euro (come nel caso della sanità).

A quasi metà legislatura, i “successi” della Giunta Fugatti si contano sulle dita di una mano. Non si contano le occasioni mancate in fatto di strategie di sviluppo economico della Provincia, cosa che ha allargato il solco già esistente con l’Alto Adige in termini di dotazione di bilancio (l’Autonomia speciale trae il proprio finanziamento dal gettito tributario riscosso in loco: tanto meglio va l’economia locale anche grazie alle scelte della politica, maggiori sono le risorse disponibili e viceversa), tanto da raggiungere la non simbolica cifra di due miliardi di euro di divario.

Per non dire delle politiche a favore dell’imprenditoria, che sembrano andare proprio nella direzione opposta di quanto auspicato da quelle categorie che nel 2018 si sono spese per il successo elettorale del centrodestra dopo vent’anni di indiscusso dominio del centro sinistra, tanto che queste rosicano decisamente amaro e alla prossima tornata hanno già promesso di cambiare elettoralmente cavallo.

Clamoroso, poi, il caso di questi giorni, con cui la maggioranza guidata da Fugatti si propone di emanare una legge provinciale con cui si vorrebbe imporre la chiusura domenicale e festiva agli esercizi commerciali, ben sapendo che al momento la competenza autonomistica in materia non è prevista (e, più intelligentemente il presidente della provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, ha proposto di fare varare alla commissione Paritetica Stato-Regione una specifica norma di attuazione in merito), tanto che il Governo nazionale avrà buon gioco a bocciarla facendo finire lo sforzo legislativo in un ennesimo bluff.

Di fatto, la Lega di Fugatti, in un periodo di pesante crisi economica, vuole chiudere i negozi che assicurano lavoro a centinaia di persone e milioni di preziosi euro di gettito tributario locale! Davvero un boomerang clamoroso giocato sull’altare della tutela delle tradizioni locali, quando il tenere aperto o meno un negozio alla domenica e nei festivi è solo una libera scelta dell’imprenditore e anche la scelta di lavorare nei festivi per i dipendenti è libera e molti l’hanno fatta contando su un turno allargato di 18-20 ore nel fine settimana utile per soddisfare le esigenze degli studenti che vogliono lavorare o di molte famiglie alle prese con il part time e la gestione della prole.

Per non dire della gestione della pandemia da Coronavirus, dove l’assessore alla sanità trentina, Stefania Segnana, è stata continuamente “coperta” (pure nelle presenze pubbliche!) dal presidente Fugatti, quasi avesse di fatto avocato a sé le competenze delegate ad un personaggio totalmente privo di competenze nella materia chiamato a gestire.

Altro tema da cui emerge dove svetta l’attuale classe di governo espressa dalla Lega dei fedelissimi è il caso delle elezioni amministrative locali, dove vanno alle urne i due capoluoghi Trento e Bolzano, oltre ad una miriade di realtà minori. Bene, anche in questo caso la Lega trentina è riuscita a superarsi nel tafazzismo.

Dinanzi ad un centrosinistra oggettivamente bolso e con poche idee dopo decenni di guida delle maggiori città, il centrodestra avrebbe potuto gareggiare con qualche reale possibilità di portare il cambiamento. Solo che per farlo ci sarebbe voluto un candidato sindaco all’altezza della situazione, un personaggio conosciuto ed esperto delle cose della politica che, contrapposto a quello della sinistra, l’ex segretario della Cgil trentina esponente dell’area massimalista, avrebbe ben potuto raccogliere il consenso moderato. Peccato che il giovine segretario Bisesti, abbia dato il massimo per affondare già ai blocchi di partenza le possibilità di vittoria del centrodestra, prima candidando un ultrasettuagenario ex professore universitario Aronne Armanini per poi passare alla strategia dello sfoglio dei petali di fior-candidati, per approdare infine a lanciare a sindaco Alessandro Baracetti, una persona professionalmente stimabile e specchiata, ma totalmente digiuna di politica e di presa sull’elettorato, tanto che è sorta facile la battuta “BaraChi?”.

Anche in questo caso, la colpa originale sta nel fatto che chi è capace, chi ha una storia politica, una lunghissima militanza nella Lega trentina tanto da esserne stato uno dei fondatori, chi ha avuto uno specchiato e prestigioso cursus honorum ma ha il lieve difetto di non essere tra fedelissimi dei numeri uno del momento, rimane forzatamente in panchina.

Che conclusioni trarre da quanto fin qui detto? Una su tutte: la Lega deve tornare ad essere immediatamente il partito-sindacato del Nord, dei territori più dinamici e produttivi del Paese, delle classi imprenditoriali, professionali e borghesi in contrapposizione all’incapacità ed improvvisazione espressa da PD e, soprattutto M5s. Più che ad una “Lega Salvini Premier” (che può tranquillamente continuare a vivere nelle terre di nuova conquista elettorale con il suo leader) serve una “Lega NORD” con il “Nord” scritto in caratteri cubitali e in grassetto gestita da persone capaci.

Quanto a Salvini e alla sua consorteria di fedelissimi più o meno giovani leoni da tastiera, dimostri una volta buona di essere un vero leader, scegliendo tra le fila dei militanti storici della Lega (troppo frettolosamente rottamati sull’altare del nuovo corso) persone esperte e conosciute cui affidare l’amministrazione degli enti locali, evitando di ripetere gli errori di percorso (spesso clamorosi) in cui pure lui è frequentemente incappato negli ultimi mesi. Il Nord ha bisogno di una forte e potente rappresentanza politica dei propri interessi.

In caso contrario, nella sua corsa senza freni verso il Sud, Salvini potrà sì incrementare di qualche punto percentuale il carniere elettorale, ma a prezzo di perdere clamorosamente consenso nella sua base storica, nella sua culla del Nord Italia.

Franco Merlin

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
Hosting: Stefania Piazzo

Newsletter

Iscriviti alla nostra Newsletter!

Servizio Precedente

Alzano, spuntano nuove carte sulle vittime. Legale comitato “Noi denunceremo” da pm

Prossimo Servizio

Gastone, la satira fine e delicata di un gentleman

Ultime notizie su Politica

TornaSu