Categorie: Opinioni

Robusti e Bossi, una caffettiera per due a Strasburgo. La lunga amicizia, le prime proteste sui trattori, quando c’era una sola Lega (Nord)

di Giovanni Robusti – Anzitutto chiariamo di quale Lega stiamo parlando. Oggi ci sono ancora operative due Leghe. La Lega Nord seppur in “liquidazione” e la Lega di Salvini. Io faccio riferimento alla Lega Nord. Per la quale poco o tanto un contributo l’ho dato. Il resto non mi appartiene e non me ne voglio occupare. Non merita nemmeno il mio modesto, inutile, parere.

Sono entrato in Lega Nord all’inizio degli anni ’90 e per una serie di combinazioni mi sono trovato al Senato nel ’94 da tecnico agricolo. Da li è iniziato il mio rapporto personale con Umberto Bossi. Rapporto non sempre tranquillo anche se mai burrascoso. Dopo due anni di lavoro non fui rieletto anche se candidato al proporzionale. E’ stato fuoco amico, ma non per mano del Capo.  Ho continuato il mio lavoro politico sindacale nel mondo agricolo sempre con la bandiera del NORD.

Il rapporto diretto, personale, quotidiano con Bossi è iniziato, non a caso, con i trattori schierati a Linate. E non è sempre stato lineare. A  volte anche “ridicolo”. Una sera a casa mia, trattori in piazza, polizia dappertutto e io in mezzo, quindi non certo serata tranquilla a casa, suona il telefono. Mia figlia risponde e si sente dire “Sono Umberto”.  Umberto chi ? “Bossi” . Risposta …. Ma vai etc… Era proprio Lui. Ma capì. E richiamò scusandosi. Non è poi così ruvido come molti vorrebbero dipingerlo. Con Bossi, nel modo giusto, si può dibattere. Anche dissentire. Ci si prende qualche “vaffa” ma spesso si guadagna qualche punto di considerazione.

Umberto esigeva che la protesta dei trattori portasse in testa la sola bandiera della Lega. Io mi rendevo conto che non sarebbe stato possibile. Avrebbe creato divisioni consentendo l’ingresso di altre parti politiche che si erano fatte sorprendere dalla protesta. Di fronte alla richiesta “porta i trattori verso Milano che io ho artigiani e commercianti pronti a scendere in piazza” risposi “viale Forlanini non è lungo. Noi siamo qui all’aeroporto. Quando vedo i commercianti e gli artigiani dall’altra parte faccio mettere la prima”. Non successe.

Una serie di valutazioni che esplicitai in una lettera in prima pagina sul Corriere della Sera, mi portarono ad annunciare che appendevo la tessera della Lega Nord al chiodo. Contrariamente alle attese scomuniche bossiane, Umberto Bossi mi definì “un padano che non aveva capito”. Il che spiazzò anche tutte le dinamiche di apparato al grido di traditore. In realtà quella tessera è ancora là. Non sono venni stato espulso. Anzi. fui candidato appena dopo alle europee. Arrivai, come sempre per i turni successivi, primo dei non eletti. In quel caso dopo Formentini che aveva già un piede fuori. E non ricevetti nessuna telefonata notturna.

La protesta del latte ci portò tra le altre cose anche ad un incontro ufficiale con il presidente del Consiglio, Romano Prodi. Al momento dell’ingresso fui escluso dalla delegazione con un veto di palazzo. Bastarono 20 minuti, grazie all’intervento di Umberto Bossi che per inciso non interpellai, per farmi accedere all’incontro. Era sempre lì, attento e silenzioso a dare una mano.

Si arrivò ad un decreto legge che avrebbe dovuto risolvere la questione. Mi fu consentito di leggere in anteprima il testo sempre a mezzo del segretario federale. Come spesso succede anche oggi, le premesse erano buone, il testo una fregatura. Ma in Gazzetta ci va il testo e non le premesse. La sera mi chiamò Umberto e fu una lunga chiacchierata molto paterna. Una pacca sulla spalla di incoraggiamento ad andare avanti. Il rapporto continua tra alti e bassi. Ministro del Governo del Nord a Venezia con Giancarlo Pagliarini. Il Blocco Padano dove noi agricoli (Terra) eravamo la componente più solida.

 Di verso opposto anche la mancata candidatura alle politiche dove venni sostituito da uno dei miei, che fu poi eletto. Sempre per la stessa manina del fuoco amico del ’96. Io decisi di rendere pan per focaccia e corsi con Di Pietro. Con il quale non avevo avuto nulla da spartire né prima né dopo. Eppure, quando mi incontrai con Umberto, nel suo appartamento romano pochi mesi dopo, l’unica cosa che mi disse fu “proprio con il magistrato”.

Non ci siamo ancora visti di persona. Avevamo un comizio organizzato da noi a Cuneo a cui aveva garantito la presenza. Ma non venne perché non stava bene. Erano due o tre giorni prima del grave malore.

Eppure da segretario ritornato al comando mi candidò alle europee.

Mai avrei immaginato, forse nemmeno Lui, che nel 2007 sarei finito a sostituirlo a Strasburgo/Bruxelles quando divenne ministro. Nel suo studio, al suo posto. E non mancò di mandarmi a dire che voleva indietro la caffettiera. Anche quella un modo gentile di far capire una vicinanza.

Questo è il mio essere padano, ed ancora condividere l’aspirazione vera, di cui l’autonomia è una tappa. Padano che forse non ha capito bene. Ma che ha apprezzato un rapporto umano con Umberto Bossi ma più in generale con una Lega Nord, al di là delle inevitabili piccole persone,  certamente spesso ruvido ma sempre leale.

Al segretario federale, Umberto Bossi, auguro lunga vita. Alla Lega Nord di poter ritrovare la strada.

Dell’altra Lega non dico nulla. E’ dall’altra parte della barricata, nel mucchio di una delle tante nazioni europee. Anche se credo che stia sottovalutando, in questa specifica fase, un potenziale fuoco amico. Il mio, da vecchio e un po’ acciaccato militante appeso al chiodo, sicuramente si.

Redazione

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