di Stefania Piazzo – Bossi è e resterà sempre un grande istrione politico. Un “sensitivo” che ha saputo cogliere gli umori del popolo e trasformarli in un partito che ha rivoluzionato la politica. Dentro le istituzioni. Bossi, non lascerà mai la Lega. Le occasioni le ha avute. Nel 2012, dopo la detronizzazione maroniana. Nel 2013, quando il nuovo corso della Lega era già su un binario parallelo ma lontano. Nel 2019, quando la segreteria leghista venne armi e bagagli strariconfermata al corso populista e sovranista di destra di Salvini. Fine delle trasmissioni.
Perché stupisce, ora, che la sua creatura, il Comitato Nord, non si presenti in antagonismo a Fontana alle elezioni? Perché sorprendersi che chi lo ha seguito, i consiglieri regionali front man che c’hanno rimesso le penne, con l’espulsione, ora dicano, “Se ce lo chiede lui, stiamo alle sue decisioni”?
Forse tra il morire in piedi, da espulsi in un partito di destra nato liberale, e morire non ricandidati senza proferire parola col marchio di fabbrica del sovranismo, forse appunto hanno preferito rivendicare un po’ di dignità che manca ad altri attorno a loro.
Tutto ha un prezzo, in politica. I consiglieri usciti, consenzienti, lo sapevano. Il rischio di andare avanti e trovarsi di lato, anzi, fuori da tutto, c’era. Bossi resta al suo posto, ma la sua creatura che peso avrà nell’attesa resa dei conti interna? Alle prossime amministrative, non regionali, che accadrà? Perché ora, con dei consiglieri in carica, fare un lista sarebbe stato semplice, senza dover raccogliere le firme. E domani?
E al prossimo congresso, come si posizioneranno quelli che avevano visto nel ritorno di Bossi la possibilità di tornare ad una politica per il Nord, che nasce al Nord? Persa una battaglia, non si è persa una guerra. Però prima o poi o di qua o di là, anche perché il tempo passa, per tutti.