20 ANNI Speciale Miglio 7 – Aveva ragione il prof. I confini li faranno i popoli, non gli Stati

8 Agosto 2021
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di CHIARA BATTISTONI – Che cos’è un confine? Forse una barriera invalicabile, un limite da non superare? L’etimologia latina ci ricorda trattarsi dell’estrema linea che segna la fine di un territorio, di un paese, di un fondo, dividendolo da quello attiguo.
Qualcosa da superare, dunque. La storia, infatti, è lastricata di guerre nate per superare i confini, quelli degli Stati Nazione di ottocentesca memoria, per esempio; quando non esiste un confine geografico da valicare ce n’è uno culturale, linguistico, religioso,
razziale da superare. Eppure la dimensione stessa di confine ci appartiene, è al tempo stesso elemento consustanziale al nostro essere uomini tra gli uomini e al nostro essere natura nella natura. Il confine, qualunque sia la sua origine, ci dà il senso del limite oltre cui spingerci o meno; ci aiuta a percepirci altro da ciò che ci circonda. È una sfida irresistibile, quasi un invito a essere superato; può anche trasformarsi in una rassicurante realtà, una sorta di copertina di Linus sotto cui rintanarsi, per tenere lontano da noi, fuori da noi ciò che viviamo come una minaccia, che riteniamo non ci appartenga, non ci sia affine.

Se pensate ai fluidi il concetto di confine diventa ancor più labile; un fluido prende la forma del recipiente che lo contiene; significa che al mutare del contesto cambia anche il suo modo di manifestarsi; la realtà, la realtà fluida alla Zygmunt Bauman, non è affatto immutabile, è piuttosto espressione di un cambiamento incessante, i cui confini sono appunto in divenire. Facciamo ora un passo in più in questo percorso di astrazione: dal fluido spostiamoci su una cellula. Anche in questo caso i confini sono dinamici. Le cosiddette membrane citoplasmatiche, quelle che delimitano il corpo e i corpuscoli cellulari dall’esterno, crescono, cambiano, si adattano, un po’
come la nostra pelle che cresce con noi. Soprattutto sono permeabili, scambiano cioè con l’esterno flussi di informazioni, di sostanze nutritive e di rifiuto.

Ancora una volta, che si pensi all’infinitamente grande o all’infinitamente piccolo, ad accomunare questa lettura c’è la dimensione del cambiamento e del reciproco scambio. Diciamocelo chiaramente, i confini ci servono per individuare e classificare la realtà, definire un esterno e un interno, un mio e un tuo, un “come me” e un “diverso da me”, ma non hanno in sé un valore assoluto. La loro è prima di tutto una natura strumentale. Eppure sui confini il mondo si accapiglia da sempre.

Lo fanno le comunità locali, in cerca delle identità perdute, lo fanno gli Stati Nazione, talvolta in un delirio di onnipotenza, lo fanno le persone, quando delimitano ambiti di azione e sfere di influenza, lo fanno i partiti politici, quando decidono di alleanze e di liste e ridisegnano al bisogno le alleanze. Proviamo allora ad applicare questi concetti all’Europa; dopo la firma del trattato costituzionale, ora soggetto al processo di ratifica negli Stati membri, presto anche il nostro Parlamento sarà chiamato a esprimersi. È auspicabile che i nostri parlamentari tornino a discutere di radici culturali e di confini della nuova Europa, quella che provocatoriamente Oriana Fallaci nella sua recente intervista a se stessa definisce Eurabia, la stessa che Ida Magli, dalle colonne del nostro giornale ma anche dal suo libro “Contro l’Europa”, ha ripetutamente criticato.

Quali sono i confini dell’Europa? Se lo chiede il cardinale Ratzinger proprio in apertura del suo libro Europa (Edizioni Piemme); a pagina 9 si legge «(…) E dove si perdono i confini dell’Europa nel sud della comunità dei popoli della Russia? Dove corre il suo confine nell’Atlantico? Quali isole sono Europa, quali invece non lo sono, e perché non lo sono? (…) divenne perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l’Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, è invece un concetto culturale e storico». Il filosofo Giovanni Reale, nel suo libro Radici culturali e spirituali dell’Europa (Raffaello Cortina editore), approfondisce il dato di fatto enunciato da Ratzinger, anzi va oltre con argomentazioni di notevole
interesse per la ricaduta pratica che potrebbero avere se solo chi si occupa della ratifica del Trattato che adotta la Costituzione per l’Europa avesse la pazienza di approfondirle. A pagina 1, proprio nell’introduzione, si legge: «Si può comprendere cosa sia l’Europa – o, per meglio dire – cosa sia stata e cosa dovrebbe continuare a essere – solo se si individuano le “radici” da cui essa è sorta e da cui ha tratto alimento nella sua crescita e nel suo sviluppo».

E ancora: «(…) poiché l’Europa, come vedremo non è stata una realtà geografica e neppure politica, bensì una realtà spirituale, per continuare a essere tale dovrà, in ogni caso, cercare di fare rinascere e mantenere vivo quello “spirito” originario. (…) occorre tener presente che l’Europa non è una realtà identificabile con un’estensione territoriale, in quanto ha avuto e continuerà ad avere confini mobili e labili, e non può dunque essere confusa con una “realtà geografica”. Ma nell’Età Moderna non è neppure una “realtà politica”, nel senso che non è stata una nazione e neppure uno Stato con una sua unità politica. È nata dai germi che hanno resistito alla crisi della polis ellenica e a quella dell’Impero romano». (pag. 2)

In Pensare l’Europa Edgar Morin ricorda come l’Europa sia una «nozione geografica senza frontiere con l’Asia e una nozione storica dalle frontiere mutevoli»; proprio commentando Edgar Morin, Giovanni Reale osserva «L’Europa, dunque, consiste in una realtà metageografica e metanazionale». Come ancora precisa Morin: «Se si cerca l’essenza dell’Europa, non si trova che uno spirito europeo». Ma subito aggiunge che tale spirito europeo «è evanescente e asettico. (…) Poiché l’Europa è stata (e dovrebbe continuare a essere, anche dopo la sua unificazione politica) una “realtà spirituale”, un’ “idea”, bisogna bisogna riconoscere che, in primis et ante omnia, essa è nata da radici culturali e spirituali ben precise. Ma quali sono queste radici? In primo luogo, la cultura greca; in secondo luogo, il messaggio cristiano; in terzo luogo, la grande rivoluzione scientifico-tecnica, iniziata nel Seicento e proseguita senza soste con strabiliante velocità e con effetti del tutto imprevedibili». (pag. 3)

reale europa


Come vedete, ne emerge (e non è certo una novità) un quadro di straordinaria complessità, in cui gli strumenti conoscitivi e legislativi
di cui disponiamo sembrano essere del tutto inadeguati. Se ne era già accorto negli anni Sessanta Gianfranco Miglio; lo ribadì con disarmante chiarezza anche nel 2000 quando ebbe a dire: «Fra cinquant’anni una nuova combinazione di elementi politici e privatistici darà luogo a strutture di tipo neofederale quasi ovunque. Potrà suonare per alcuni come una bestemmia, per altri, tra cui mi annovero, come una speranza e se nel nostro futuro, una volta finita l’epoca degli stati nazionali (commerciali) chiusi (…), ci fosse la creazione di un nuovo spazio politico, di una struttura di tipo imperiale in grado di unire, rispettandone le diversità, tutti i diversi popoli europei?» (da Speciale Gianfranco Miglio: un uomo libero – Quaderni Padani – n°37/38 – pag. 170). L’Europa che vedremo potrebbe davvero essere ben altro da quanto i burocrati di oggi vogliono farci credere e accettare. Chissà se il tempo darà ragione a Miglio.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
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