di Gigi Cabrino – Dopo la pandemia la parola d’ordine è stata riformare la medicina territoriale e il punto di snodo di questa riforma è stato individuato nella realizzazione delle case di comunità, strutture in cui trovare medici ed infermieri per tutto ciò che non richiedesse ricoveri o visite ospedaliere.
Il PNRR ha dedicato importanti somme alla realizzazione delle case di comunità, a riprova del fatto che per la ripresa post – pandemia la medicina territoriale avrebbe giocato una parte fondamentale, programmando la realizzazione di 309 case di comunità e 91 ospedali di comunità.
Il governo teme di non riuscire a rispettare i tempi di realizzazione di questi progetti PNRR – la scadenza è il 2026 – e sta pensando di trasferire la realizzazione di queste strutture dai fondi europei ai fondi per l’edilizia sanitaria, ma questi fondi sarebbero destinati alla costruzione di nuovi ospedali e anche in questo caso non pare che si stia eccellendo in capacità di spesa; le telenovelas su nuovi ospedali di Alessandria e del VCO, per restare nel nostro Piemonte, sono emblematiche.
Inoltre c’è il problema della mancanza di personale medico e sanitario, da tempo e da più parti si è ricordato i pericolo di realizzare le case di comunità e lasciarle vuote per la mancanza di medici ed infermieri.
Forse il vero motivo della retromarcia sui fondi PNRR da destinare alle case di comunità è questo.
Sono diversi i giornali che , citando fonti della maggioranza del Parlamento e della Regione, riferiscono che in fondo non si vuole impegnare il PNRR su strutture in cui mancherà il personale.
Ma allora è lecito chiedersi se , case di comunità o meno, la prospettiva sia quella della semplice accettazione e presa d’atto di una sanità senza medici ed infermieri.
Una non – sanità.