Dopo la parabola del berlusconismo, dell’antiberlusconismo e del postleghismo centralista, torneranno orizzonti padani?

21 Settembre 2023
Lettura 3 min

di Cuore Verde – “Nel giro di pochissimi anni li abbiamo provati tutti, siamo stati sulla giostra del cambiamento su tutti i cavalli: c’era sempre qualcuno che rappresentava ora l’antipolitica populista, ora l’antipolitica tecnocratica, ora l’opposizione radicale, nazionale e sociale, comunque l’alternativa al potere vigente. E tutti a turno o insieme sono andati al governo. Adesso non c’è più nessuno”.

(da  “Zorro è andato in pensione” di Marcello Veneziani”).

L’analisi di Marcello Veneziani espressa nell’articolo “Zorro è andato in pensione” è molto interessante (Zorro è andato in pensione – Marcello Veneziani). Tuttavia, dopo aver contrapposto la tesi che in Italia negli ultimi trent’anni tutti sono andati al governo e l’antitesi che tutto questo non è servito a niente, la sintesi resta vaga.

La metafora della giostra mi ricorda inequivocabilmente il titolo di un libro che, forse, ancora oggi, si dimostra più attuale e dirompente di quello di Vannacci: L’Italia finisce, ecco quel che resta (The Legacy of Italy) di Giuseppe Prezzolini, pubblicato in inglese a New York nel 1948 e tradotto in Italia nel 1955. 

Il danno politico è aver immaginato una Italia nella sua unità di “stato-nazione” che non esiste basandosi sul mito della romanità (poi trasfuso in quello della “italianità”) come se gli ultimi 1500 anni di storia non fossero mai esistiti e, la maggior parte di noi, non discendesse dai suoi avi goti, longobardi, franchi, veneti, celti e normanni. Noi siamo certamente barbari “romanizzati” nel senso culturale ma comunque barbari. Tutti gli altri stati europei pongono al centro della loro fondazione proprio i popoli “barbari”.

Gli intellettuali “italiani”, nei loro eremi, pervasi dal mito della romanità, hanno costruito invece una ideologia politica che confligge con la realtà storica ed etnica. Intendiamoci, i nostri avi non erano una massa indistinta che arrivava sui barconi come al giorno d’oggi. Erano popoli che si muovevano guidati dai loro re e nobili con una precisa ideologia e coscienza unitaria.

Procedevano con precisi obiettivi strategici di conquista. E contrariamente a quanto affermato dalla prevalente opinione autoreferenziale umanista, non hanno distrutto la civiltà occidentale ma, paradossalmente, l’hanno salvata metabolizzandola. Ma appunto non erano “migranti”, ma popoli in movimento. La fara longobarda è il tipico esempio. Si sono sostituiti alla classe dirigente romana. 

La civiltà moderna europea è frutto di questa sintesi. Il Sacro Romano Impero, con tutti i suoi limiti e conflitti interni, ha tenuto insieme l’Europa preservandola soprattutto dalle invasioni islamiche. L’esperimento dell’Italia unita, un tentativo di imitare lo stato centrale francese, tenuta insieme  anche con la forza come, ad esempio, con i bombardamenti su Genova (1848) o le cannonate di Bava Beccaris a Milano (1898) e, soprattutto, con il fascismo, finisce tragicamente con la seconda guerra mondiale.

Nel 1943, l’Italia si spacca in due, una Repubblica al Nord e un Regno al Sud. Non si tratta di una casualità bellica. Nel referendum del 2 giugno 1946, il Nord voterà per la repubblica e il Sud per la monarchia. L’Italia post-bellica nasceva già divisa, altroché “una e indivisibile”. L’unico modo per contemperare questa e altre divisioni effettive dell’Italia sarebbe stato l’adozione di un vero sistema federalista. Ma, per vari motivi, tutti erano contrari.

I filo-americani avevano paura che si potessero creare delle enclave comuniste. Il Partito Comunista Italiano, sperava invece di conquistare tutta l’Italia con il voto immaginando un  immenso successo elettorale plebiscitario “nazionale”. Questo fu uno dei motivi per i quali le regioni previste in Costituzione furono adottate soltanto nel 1970.

In realtà, l’Italia, dal secondo dopo-guerra, è stata tenuta insieme con il consociativismo anticomunista che ha frenato tutte le pulsioni territoriali. E poi, ancora una volta, interviene la realtà storica. Nel 1989, cade il muro di Berlino e finisce la “guerra fredda” e il pericolo comunista. Ecco la nascita delle Leghe e il risveglio dei “territori”.

Si contrappongono i partiti “romani” che, dopo cinquant’anni di gestione centralista del potere, non hanno certo intenzione di cambiare letteralmente il “sistema”. Arriva quindi il grande “salvatore”, Silvio Berlusconi, che manterrà l’Italia racchiusa in una “bolla temporale” per altri trent’anni con il “berlusconismo” e il suo derivato, l'”antiberlusconismo”. Il mito nostalgico del ritorno ai fantastici “anni ’80”. Un immaginario in stile “love boat”. (La “capsula del tempo” dell’uomo di Arcore. Si torna alla casella di partenza, al 1993. Ma quella Lega non c’è più – La Nuova Padania). 

Ma anche questa Italia finisce, per usare l’espressione di Prezzolini, e quelli che vediamo in questi giorni sono solo dei modesti imitatori. 

Eppure, nei primi anni del novecento, il nazionalista italiano Scipione Sighele  (Brescia, 1868 – Firenze, 1913)  aveva già individuato nel modello tedesco di federalismo la soluzione politica per contemperare  le evidenti diversità etno-culturali presenti in l’Italia. 

Sighele, infatti, affermava espressamente che l’etnia italiana non esiste perché “esistono, in realtà, parecchi tipi di italiani, quante sono le nostre regioni”. Questi concetti e altri similari come quello delle “piccole patrie”, sono analizzati da Sighele nel testo “Il Nazionalismo e i Partiti politici” pubblicato nel 1911.

Nel  capitolo “Regionalismo e decentramento”, con una premessa di Vincenzo Gioberti (Regionalismo, decentramento e piccole patrie nelle parole di un nazionalista italiano del 1911 – La Nuova Padania), Sighele, nel difficile tentativo di conciliare nazionalismo italiano ed autonomia regionale, criticando fortemente gli effetti negativi del centralismo, arriva ad esprimere concetti estremamente moderni su federalismo, autonomia e piccole patrie. Un profeta inascoltato. Ma ora, la nebbia si sta di nuovo diradando e tocca a noi intravedere nuovi orizzonti. Orizzonti padani.  

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
Hosting: Stefania Piazzo

Newsletter

Iscriviti alla nostra Newsletter!

Servizio Precedente

Al convento francescano la “riffa degli agnelli”. Ma San Francesco l’avrebbe voluto? Oipa chiede annullamento della festa con animali come premio

Prossimo Servizio

Altro che superbonus. Vi racconto il decreto da 200 miliardi di aiuti dalle banche, garantiti dallo Stato per il Covid. Poi arriva la crisi, la guerra e dal 2022 lo Stato toglie le garanzie….

Ultime notizie su Politica

TornaSu