di Roberto Gremmo – Merita sostegno l’iniziativa del quotidiano “La Stampa” che nel ventennale della morte di Sergio Arneodo propone ai suoi lettori un agile volumetto con toccanti e veritiere storie di montagna del più tenace e coerente difensore della identità linguistica e culturale delle valli provenzali del nostro Piemonte.
Edito da Priuli & Verlucca, il libro porta il lettore a scoprire un tenace pioniere della difesa e conservazione della tradizione cristiana dei nostri montanari; un testimone che per tutta la vita ha sofferto per la fine inesorabile che ha decretato per le nostre vallate la falsa civiltà dei consumi, la pianurizzzazione desertificate e la colonizzazione cementificante.
Uomo di una fede religiosa che ispirava la sua battaglia, scrittore “mantenaire de la lengo”, maestro di vita; Arneodo e la sua famiglia hanno saputo conservare vivo nell’eremo di Sancto Lucio il patrimonio prezioso dei valori che per secoli hanno nutrito di speranza la vita grama degli ultimi che resistono fra le montagne.
La pubblicazione proposta ora dalla “Stampa” e’ un esempio significativo della sua grande umanità e proprio per questo e’ a buon titolo un’opera che il famoso critico letterario Giovanni Tesio giudica “punto di partenza di un’attesa che, compiendosi, avvia il nuovo ciclo dei giorni, liturgia di un tempo che, rinnovandosi, sa dare spinta a ciò che per rinascere non può se non morire, ad un al di qua che e’ passaggio verso l’al la’, ad un dove che e’ la radice dell’altrove”.
Ricordo, perché nel libro non si dice, che nel 1979 Arneodo accetto’ la candidatura nella lista per le europee promossa da Bruno Salvadori che raggruppo sotto il simbolo dell’”Union Valdotaine” i primi apripista della nuova stagione del federalismo e dell’autonomia delle Piccole Patrie.
Prima ancora, con l’aiuto del biellese Buratti, trasformo’ il suo giornalino scolastico “Combascura” nel periodico “Cumboscuro”, contribuì all’Escolo du Po che univa i poeti provenzali come lui è il mio fratello perduto barba Toni Baudrier a quelli di lingua piemontese della Compagnia dij brande’; alari che hanno tenuta viva la fiamma della nostra civiltà montanara.
Sempre più debole e minacciata.
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