di Stefania Piazzo – A chi ha avuto l’opportunità di ascoltare stamane l’intervista in diretta web ad Enrico Letta sul forum Ansa, non sarà sfuggito il passaggio sulla legge elettorale. Senza mai pronunciare il termine “proporzionale”, il segretario del Pd ha chiaramente espresso il suo favorevole interesse affinché chi viene eletto sia conosciuto, e scelto, di nuovo, dall’elettore. Un rapporto diretto, territoriale, che non può certo oggi corrispondere all’esito del voto con l’attuale sistema.
E così, alla domanda “Legge proporzionale?”, la risposta è stata chiara: “La questione fondamentale è riportare il rapporto eletti – elettori ad uno standard virtuoso”. Ma con il linguaggio della politica che prima cerca la mediazione, soprattutto con chi ha la quota di maggioranza nell’attuale centrodestra, Letta ha precisato: “Credo che se il segretario del Pd dà una indicazione ora sul modello diventa più difficile il dibattito con gli altri partiti. L’obiettivo è ovviamente quello della governabilità del paese e della rappresentatività”. La mitica sperduta rappresentanza.
Per la Lega di Salvini cosa potrebbe cambiare? In un centrodestra vincente alle elezioni, un ruolo proporzionato al proprio consenso. Tutto sommato, potrebbe ancora andar bene, visto il crollo, ma forse per un partito che fa del populismo e delle battaglie “contro” la propria bandiera, può apparire insopportabile lasciare il maggioritario, nato sotto la spinta di Tangentopoli, per tornare ad un sistema rappresentativo che ricorda la prima Repubblica. Occorre essere contro a prescindere, quindi.
Non è un caso che furono proprio i padri costituenti a pensare ad un sistema che ponderasse e mediasse nell’esito elettorale, le forze in campo. Avrebbe scongiurato il ritorno degli estremismi, smorzato le ali estreme, riportato alla mediazione della politica il governo. E il Parlamento. Cosa che oggi si è persa nella ricerca dell’uomo solo al comando e nel governo dei non eletti. Dire che è meglio oggi rispetto a quanto ha garantito 60 anni di tenuta democratica è un incomprensibile esercizio di ignoranza politica, di improvvisazione dialettica, di disperazione per il consenso perduto.