di Sergio Bianchini – Sui quotidiani di questi giorni si evidenzia il fatto che tutti cominciano a pensare all’eliminazione della zona unica nazionale. Il Giorno titolava martedì 28 aprile: “Il governo si arrende all’evidenza. Aperture differenziate per regione” e ancora “Una soluzione forse tardiva ma inevitabile” e ancora “Anche la scienza per una fase 3 a scaglioni.
L’Italia e’ lunga 1500 km, il paese più lungo d’Europa ad eccezione di Svezia e Norvegia che però sono quasi disabitate in trequarti del territorio. Pensare ad un trattamento differenziato a me sembrava ovvio fin dall’inizio del problema virus. E qualche pulsione in quel senso si è espressa anche nei meandri del potere politico centrale ma è stata subito cancellata.
Anche Salvini che un tempo fu per la specificità dei territori si è schierato, dopo la fase ultra ottimistica comune a tutti i politici, per la chiusura totale uniforme. Cosa esagerata e impossibile come al solito, con il consueto abuso di termini pomposi ma generici che piano piano la situazione concreta ha costretto a precisare.
Anche Colau, presidente del gruppo per lo studio della riapertura, appena insediato aveva subito ipotizzato la distinzione in tre aree, nord centro e sud. Ipotesi subito scomparsa senza spiegazioni ulteriori. Ma le tre aree il virus le ha individuate perfettamente perché segue le vie di reale e diversa intensità nelle relazioni economiche e sociali. E così il virus ha disegnato perfettamente le linee di forza del sistema Italia.
Purtroppo l’esistenza, evidente per chi vuole vedere, delle tre Italie, spaventa il potere statale che è tutto da decenni centro sudista. Un dominio angosciato però, che teme costantemente l’illuminazione di questa verità e fa di tutto per occultarla.
Da parte sua il nord, pur essendo ormai stremato dal prelievo fiscale e dalle mille assurde ingerenze nel normale sviluppo economico, non riesce a darsi una strategia per il superamento della catastrofica situazione ed oscilla tra sogni di secessionismo e nazionalismo uniformatore a direzione nordista.
Sembra assurdo ma si continua a ignorare il federalismo e perfino i margini che il Titolo V della Costituzione consente all’iniziativa territoriale.
Il colpo magistrale ed irresistibile per una reale autonomia e cioè la macroregione lombardo veneta come inizio della costituzione della macroregione nord o padana viene continuamente sorvolato ed ignorato anche se i governatori di Lombardia e Veneto sono dello stesso partito. Come mai? Ho fatto cento volte questa domanda anche ad alti livelli della vecchia Lega. Nessuna risposta. O meglio, la risposta che mi diede l’allora “capo supremo” fu: i veneti non vogliono.
Non sento nessuno dei dirigenti, né vecchi né nuovi parlare della questione e continuo a chiedermi il perché..
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