Categorie: Opinioni

Addio a Stefani il ruvido leghista, nello stesso giorno di Roberto Ronchi

di Stefania Piazzo – Con il presidente federale ma soprattutto presidente dell’Editoriale Nord che editava allora la Padania, Stefano Stefani, sarebbe ipocrita dire che sono sempre state rose e fiori. Spesso e volentieri ci mandavamo a quel paese. C’è stato quasi sempre un “discreto attrito” ciascuno nei rispettivi ruoli. Faceva parte del gioco. Anche se, tolti certi abiti, alla fine c’era reciproco rispetto. Vicendevolmente riconoscevamo le rispettive intelligenze. Come quando ti arrabbi perché sai che la tua controparte è tutt’altro che stupida, anzi, però in testa ha altro. Si faceva pace poi ci si scornava. Ah, Stefano…

Ai media ci teneva. La Padania era difficile da far navigare nei perigliosi mari dell’editoria di partito, e Stefani non accettava che potesse avere alti e bassi. Usava nella sua comunicazione quel modo di fare aspro che con noi dipendenti poteva portare alla dialettica accesa, forte, sanguigna. Eravamo sulle montagne russe. Ma non aveva mai pensato di chiudere il giornale. Che aveva fondato con Bossi.

In tempi non sospetti, aveva sollevato una questione, esprimendo perplessità su alcuni colleghi, diciamo così, dell’ala salviniana e maroniana (alcuni nei Giovani Padani di allora). Artefici, diversi di loro, poi della scalata. Delle scalate. Alcuni poi promossi in Parlamento. Per grandi meriti, ovviamente. Su questo punto va dato atto che Stefani non sbagliava nel ritenere che o si fa un giornale o si lavora nel partito. E che una tessera non è sul lavoro una polizza che protegge dalla grandine. Furono davvero anni caldi, e visti in prospettiva, forse sapeva più cose lui di noi.

A Natale, quest’ultimo Natale, l’avevo chiamato per fargli gli auguri. Ma era una vita che non lo sentivo.

Di lui ho un ricordo particolare, indelebile. Alla vigilia del 15 settembre 1996, convocò al piano terra, nei locali sopra Radio Padania, noi dipendenti dell’allora settimanale Lega Nord e tutti i funzionari del partito di via Bellerio. Avevamo raccolto insieme un discreto gruzzoletto per fare un regalo di compleanno a Umberto Bossi. Stefani aveva deciso che fosse una bella macchina fotografica reflex. Bossi non ne aveva ancora una. Gliela consegnò davanti a tutta la sua segreteria. Poi con Bossi ci illustrò come si sarebbe tenuta la manifestazione sul Po.

Voglio ricordarlo così, Stefani, con quel semplice regalo, ai tempi di una politica genuina, e nelle sue ultime parole al telefono. “Mi ha fatto piacere sentirti”.

Il destino in politica, comunque, non sorprende mai. Oggi Giancarlo Pagliarini, ha scritto questo post. Che ripropongo.

Roberto Ronchi era il responsabile della segreteria politica di via Arbe prima e di via Bellerio poi, quando via Bellerio brulicava di idee. Fu eletto, per quelli che oggi nella Salvini Premier non sanno chi sia stato Ronchi, né mai si siano posti il problema di saperlo, alla Camera. Annunciò di dover accettare la candidatura nei sotterranei dell’allora sede di via Arbe, con imbarazzo, in una delle solite riunioni plenarie col Capo. Ronchi è stato per anni il depositario dell’ortodossia della linea politica. Vagliava tutto. La sua parola era l’ultima.

Per quanto con ruoli e missioni diverse, Stefani e Ronchi appartengono a quella generazione che ha vissuto la Lega, terminata con le dimissioni di Umberto Bossi nel 2012. Ma sono più vivi loro di altri che troveremo in alcune schede dell’urna l’8 e 9 giugno.

Immagine in apertura tratta dalla pagina facebook di Stefano Stefani, Pontida 2011

Stefania Piazzo

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