Categorie: Opinioni

Mussolini e Garibaldi, c’è qualcosa che li lega? Il libro “eretico” di Caroti

di Roberto Gremmo – Le camicie nere di Mussolini sono figlie dirette di quelle rosse di Garibaldi? E’ cosa ormai assodata che alla base del movimento fascista italiano ci fu il mito funesto del nazionalismo e che la dittatura del Duce non fu una parentesi infame di storia patria ma una tappa prevedibile della crescita e del consolidamento dell’imperialismo straccione dei colli fatali.

Che le squadracce fossero nate sul Piave mormorante e questo dalla conquista sabauda della penisola (e delle colonie) è tuttavia sempre utile ricordarlo. Affronta questo tema il saggista Marcello Caroti in un libro dal titolo ad effetto, “Garibaldi primo fascista” (Editoriale Delfino, telefono 0295784238) più chiaro nel sottotitolo dove si trovano “le radici del Fascismo nel Risorgimento italiano”.

Trascurato dalla critica ufficiale (e c’era da metterlo in conto), fresco d’una edizione anche in lingua spagnola, il saggio concentra l’attenzione sull’uomo che Oneto definiva iperitaliano, ritenuto l’archetipo e l’esemplare progenitore del Duce, sostenendo l’esistenza di un robusto fil rouge che li lega nella comune esaltazione fanatica del patriottismo e nel rifiuto della lotta di classe; almeno per Mussolini solo dopo un lungo periodo di avventuriero barricadiero e per Garibaldi dopo aver combattuto in Sud America sotto mille bandiere.
Questo il merito del libro; tuttavia non esente da critiche.


Prima fra tutte quella di sottovalutare il ruolo avuto nelle fortune dei due personaggi dalla Massoneria che Gramsci riteneva l’unico vero partito della borghesia italiana e che fu l’ombra dell'”eroe” del Regno del Sud e dei suoi mille e poi la generosa levatrice dell’ascesa al potere dell’ex “anarchiste”, almeno finché lo sbrigativo capo del Governo non decise di liberarsene, tirandosi addosso la vendetta dei “fratelli” con gli attentati Capello-Zaniboni, Gibson, Lucetti e Zamboni.


Se non si mette in luce il ruolo dell’Istituzione iniziatica nelle imprese dei due personaggi non si comprende perché entrambi dal giovanile avventurismo passarono sotto le bandiere di quello che l’Autore definisce “nazional-socialismo”, tirando in ballo, secondo me troppo semplicisticamente, Hitler che in questo caso proprio non c’entra.


Garibaldi e Mussolini approdarono al mito nazionalista permeandolo di demagogia populista in modi completamente differenti.
Lo spericolato Nizzardo come seguace del grande vecchio del terrorismo bombarolo Mazzini; il romagnolo figlio del fabbro orecchiando le teorie antidemocratiche del suo amico Lagardelle (futuro ministro di Petain) e di Herve’, affascinati dal mito soreliano della mobilitazione delle masse e fautori di un nazionalismo integrale ed assoluto, unito ad un miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, difese dallo Stato paterno e protettore, baluardo contro la sovversione e il disordine.

Come ben spiega Zeev Sternhell nel saggio sulla “Destra rivoluzionaria” (Corbaccio) il giovane Mussolini approdo’ al socialismo patriottico, anti internazionalista ed antimarxista alla scuola del “Mouvement socialiste” francese che gli fece comprendere “quale enorme serbatoio di energie rappresenti la nazione dopo mezzo secolo di socialismo” perché’ “il sentimento nazionale emerge come la forza dominante della storia, e la nazione incarna i valori fondamentali della società’”.


Le basi teoriche del fascismo sono queste, innestate sulla tradizione autoritaria del Risorgimento in punta di baionette e con Garibaldi come nume tutelare? Il dibattito è aperto per gli storici.
Ma, attenzione, non icona esclusiva ma totem buono per tutti.
Come dimostra l’appropriazione che ne fecero nel 1948 Togliatti e Nenni col loro perdente “Fronte Popolare” anch’esso “nazional-socialista”.

Roberto Gremmo

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