Nel 2022 gli stipendi italiani hanno segnato un -3,4% rispetto al 2019, l’ultimo anno pre Covid. Nel Belpaese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. Il calo più marcato si è verificato tra il 2019 e il 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%. L’Italia non è l’unica ad aver registrato un calo dei salari rispetto al periodo pre-Covid.
Dall’analisi Openpolis sui dati Ocse emerge che in 12 dei 21 Paesi europei membri dell’Ocse i salari reali sono diminuiti tra prima e dopo lo scoppio della pandemia. Il calo maggiore si è verificato nella Repubblica Ceca (-7,2%), seguita dalla Grecia (-5,9%). Mentre l’aumento maggiore si è registrato in Lettonia (+6,8%) e Lussemburgo (5,3%).
L’Italia è il quarto stato membro insieme ai Paesi Bassi con il calore più pronunciato. I salari hanno subito l’impatto della pandemia e del lockdown, e in molti casi non sono tornati ai livelli precedenti. A differenza dell’Italia, dove il calo maggiore si è registrato tra il 2019 e il 2020, negli altri Paesi il calo più marcato si è verificato tra il 2021 e il 2022. Tutti gli stati Ue membri dell’Ocse ne hanno risentito tranne la Francia (+0,4%) e l’Ungheria, dove la situazione è rimasta invariata. Le differenze salariali, come ricorda Openpolis, possono dipendere da anche dal tessuto la prevalenza di lavoratori in specifici settori a partire dall’incidenza del lavoro nel settore tecnologico rispetto a quello manuale, più colpito dal lockdown. La pandemia ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro: secondo la banca centrale europea, si tratta del calo maggiore mai registrato. Anche questo ha decretato una riduzione della produzione e dei salari nonostante gli interventi statali volti ad aiutare le famiglie, ma anche a bloccare i licenziamenti.
La stessa Bce scrive: ”L’introduzione diffusa di programmi di mantenimento del lavoro per contenere gli effetti della pandemia ha contribuito a mantenere moderate le perdite di posti di lavoro – soprattutto se confrontata con il calo del PIL – e ha influito sull’andamento delle retribuzioni del lavoro. Le misure di contenimento e gli spostamenti indotti dalla pandemia nella domanda e nell’offerta di beni e servizi hanno portato anche a dinamiche occupazionali e salariali più diversificate tra i settori”. A 4 anni dall’esplosione della pandemia, la massa salariale è aumentata, il tasso di disoccupazione è diminuito e quello di occupazione ha superato i livelli precedenti al lockdown. L’Italia ha persino inanellato una serie di record occupazionali storici. Se la quantità di lavoro è tornata a livelli sostenuti, lo stesso non si può dire della ”qualità” del lavoro, intesa come retribuzione del tempo e delle energie impiegate dai dipendenti. Questo principalmente a causa dell’inflazione che è cresciuta a un ritmo molto più sostenuto dei salari lordi, specialmente in Italia dove i salari sono fermi dal 1991. Openpolis certifica che nel 2022 la spesa familiare per i cittadini europei ha registrato un pesante +11, 5%, trainata dall’inflazione. L’aggressione russa dell’Ucraina ha bloccato sul nascere la ripartenza: dal Covid si è passato alla guerra e alle sue conseguenze. A livello europeo le voci maggiormente interessate dai rincari sono state, in diversi momenti, i beni alimentari, i trasporti ei costi legati alla casa (questi ultimi due riconducibili alla forte inflazione dei beni energetici nella prima fase).
Queste tre voci hanno visto rincari compresi tra il 28% e il 33%. Tutte voci di spesa fondamentali per le famiglie, con i consumi italiani fagocitati proprio dalle spese obbligate. Il tutto mentre i salarilordi, sottolinea l’Ocse, non sono tornati ai livelli pre-Covid in 12 Paesi europei su 21, Italia inclusa. In questo contesto incerto, sono aumentate le differenze sia microeconomiche che macroeconomiche. Sono sempre più ampi, infatti, i gap tra ricchi e poveri e quello tra Paesi ricchi e Paesi meno ricchi. I dati Ocse evidenziano che le disparità di reddito medio lordo tra i Paesi europei sono più evidenti nel 2022 rispetto al 2019. Le differenze di stipendio medio reale tra Stati si sono ampliate. Lo stato in cui si registravano i valori più elevati (il Lussemburgo) ha registrato un incremento del proprio stipendio medio anno pari al 5,3%. Mentre la Grecia, il Paese membro con il dato più basso, ha riportato un calo del 5,9%. La distanza tra questi due stati si è ampliata e oggi in media i lussemburghesi guadagnano 3 volte rispetto i greci. Una differenza di oltre 52mila dollari che nel 2019 era di meno di 47mila. I dati si sono pubblicati ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro), mentre mancano i dati dell’Irlanda.
Il Lussemburgo è quindi il Paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022, seguito da Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari. Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno. L’Italia, con un valore di circa 45mila, è undicesima in Europa e sui 21 Paesi analizzati è, insieme all’Olanda, il quarto Paese con il calo salariale più pronunciato rispetto al pre-Covid. Uno scenario che viene aggravato e aggrava a sua volta la crisi demografica, con sempre più giovani in difficoltà davanti all’idea di dover mantenere un figlio. Non a caso, gli italiani sono tra i più stacanovisti d’Europa , e uno su dieci lavora almeno 49 ore a settimana. Per molti, si tratta dell’unico modo per restare a galla e avere una prospettiva di futuro.
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